In un’estate segnata da ondate di calore persistenti e deficit idrici prolungati, l’impiego delle cosiddette “polveri di roccia” si conferma una strategia di grande interesse per la gestione agronomica sostenibile dell’oliveto. Il termine, tuttavia, non è tecnicamente corretto, non si tratta di polveri generiche, ma di geomateriali, ovvero prodotti ottenuti da rocce magmatiche, metamorfiche o sedimentarie, macinate finemente o micronizzate. La loro efficacia è strettamente legata alla composizione mineralogica originaria, alla struttura cristallina e alle proprietà chimico-fisiche, che determinano la capacità di interagire con i tessuti vegetali e con l’ecosistema dell’oliveto.

Nel contesto olivicolo, applicazioni fogliari di caolino, basalto, bentonite sodica, talco, calce idrata, zeolite clinoptilolitica e gesso agricolo hanno mostrato risultati concreti nella mitigazione degli stress termici e idrici.
Distribuiti in sospensione acquosa a concentrazioni comprese tra il 2,5% e il 5% p/v (25–50 kg di prodotto per 1.000 litri d’acqua per ettaro), questi materiali formano un film opaco e riflettente sulla superficie fogliare.
I materiali chiari, come caolino e calce, massimizzano l’effetto riflettente e, nei periodi di massima insolazione, possono abbassare la temperatura dei tessuti vegetali di 3–4 °C, riducendo la disidratazione e prevenendo necrosi cellulari sulle olive.
La riduzione dello stress termico contribuisce a mantenere la stabilità del profilo degli acidi grassi e a limitare difetti sensoriali legati all’eccesso di calore, come la perdita di morbidezza e armonia aromatica dell’olio.
Oltre alla funzione termoregolatrice, le polveri minerali svolgono un’azione fitoprotettiva meccanica e indiretta, in parte mediata dalla loro capacità di modificare il microbioma fogliare a favore di comunità microbiche antagoniste di funghi e batteri patogeni.
I materiali con pH alcalino, come bentonite e calce idrata, creano un ambiente sfavorevole alla germinazione delle spore di patogeni quali Spilocaea oleagina (occhio di pavone).

In prove sperimentali, trattamenti preventivi con caolino al 3% hanno ridotto del 40–60% le punture di ovideposizione rispetto ai controlli, con efficacia massima nelle tre settimane successive all’applicazione.
La persistenza e l’adesione del materiale sono influenzate dalla granulometria (ottimale <10 µm per una copertura uniforme) e dalla composizione chimica.
Le zeoliti, grazie alla loro capacità di scambio cationico (oltre 100 meq/100 g), possono trattenere e rilasciare lentamente nutrienti come potassio, calcio e ammonio, favorendo il metabolismo fogliare e aumentando la resilienza della pianta.
Operativamente, la riuscita del trattamento dipende dalla tempestività e dalla ripetizione. In condizioni estive a bassa piovosità, 2–3 interventi ogni 20 giorni garantiscono una protezione costante; in caso di precipitazioni superiori a 10–15 mm, può essere necessario ripristinare la copertura entro pochi giorni.
L’uniformità della distribuzione, in particolare nelle zone apicali e nella porzione sud-occidentale della chioma, è essenziale per massimizzare l’effetto protettivo. L’aggiunta di adesivanti naturali a base di polisaccaridi vegetali o resine naturali può aumentare la resistenza al dilavamento, estendendo l’efficacia oltre i 30 giorni.
Il ricorso a geomateriali, selezionati e applicati secondo criteri agronomici, rappresenta una strategia capace di mitigare gli effetti del calore estivo, migliorare la sanità della pianta e preservare la qualità dell’olio.




















