Servili: “Rese sorprendenti per l’olio da oliveti ad alta densità con varietà italiane”

Il ricercatore spiega il giusto compromesso tra salvaguardia della biodiversità e alta produzione
Tecnica e Ricerca
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“L’oliveto di alta densità con varietà italiane potrebbe rappresentare il giusto compromesso tra l’esigenza di aumentare e stabilizzare la produzione di olio a costi contenuti e la salvaguardia della ricca biodiversità del nostro paese. Tanto più se, oltre ai parametri vegetativi delle cultivar che ne consentono l’uso di scavallatrici o altri sistemi di raccolta meccanica, si associa l’entrata in produzione precoce, un adeguato contenuto in olio ed un buon livello qualitativo del prodotto”.

Il prof. Maurizio Servili, punto di riferimento nella ricerca per il settore olivicolo-oleario, mette il punto esclamativo sui risultati che si stanno ottenendo con il progetto Olive Hub, uno dei pochi studi pluriennali applicativi di miglioramento genetico fatti in Italia negli ultimi decenni, che sta dando risultati molto interessanti e promettenti. Un progetto che ha permesso di individuare nuovi genotipi con ottime capacità in termini di adattamento climatico e resistenza alle fitopatie, portato avanti insieme al collega prof. Franco Famiani – entrambi dell’Università di Perugia – la ricercatrice del Cnr Luciana Baldoni ed il sostegno del gruppo Farchioni.

Maurizio Servili

 Professore, addirittura contenuti in olio del 30%?
“Sì, tra i genotipi selezionati dalla dott.ssa Baldoni, nuovi o tradizionali, vi è stato anche un caso che ha registrato una resa così elevata. In generale ve ne sono diversi con percentuali di contenuto in olio significativi. Siamo ancora nel campo della sperimentazione, ma alcuni risultati sembrano promettenti, con l’aggiunta di una precoce entrata in produzione, anche dopo 2 o 3 anni”.

Di che genotipi si tratta?
“Sono genotipi che nascono da incroci di diverse varietà, spesso recuperati nel territorio umbro, visto che è una ricerca che è stata prodotta in questa regione. L’attività di studio ha permesso la caratterizzazione genetica fenotipica e compositiva in termini di olio prodotto, di genotipi tradizionali spesso non precedentemente caratterizzati e nuovi genotipi ottenuti da incrocio”.

Quando saranno disponibili?
“In sede di presentazione è stato detto che sono stati 1.700 i genotipi individuati nel corso degli anni e, dopo un processo di selezione, ci si è indirizzati su 10 varietà autoctone e 10 da nuovi genotipi da incrocio che sembrano, allo stato attuale della sperimentazione, le più promettenti, ma su cui sono in corso ulteriori studi e la cui distribuzione agli olivicoltori è prevista nel medio periodo”.

Solo in Umbria?
“No, assolutamente. Sarà anzi interessante sperimentare tali varietà anche in altre regioni, a partire da Puglia e Sicilia”.

Ma non si rischia di perdere l’identità territoriale della varietà?
“Parliamo sempre di varietà italiane e questo è l’importante. Già oggi troviamo la pugliese Coratina o la calabrese Carolea coltivate in molte altre regioni d’Italia. Io stesso ho una Nocellara del Belice nel mio oliveto in Umbria e devo dire che mi produce ogni anno, a differenza delle varietà autoctone che spesso mostrano alternanza di produzione. Quello che mi preme sottolineare, piuttosto è che qui si sta realizzando qualcosa di innovativo nel panorama olivicolo nazionale. Ad eccezione del lavoro svolto dal prof. Salvatore Camposeo con i superintensivi, è dai tempi di Fontanazza che non si producevano nuove varietà”.

Un oliveto ad alta densità

 Quando parla di oliveto ad alta densità, su che numero di piante stiamo?
“Il modello che si sta sperimentando in diverse aree geografiche a livello nazionale prevede dalle dalle 700 alle 800. Se hanno la giusta vigoria possono essere adattabili ad un allevamento a parete che consente l’uso della scavallatrice per le operazioni di raccolta o di scuotitori al tronco che consentono un significativo abbattimento dei costi di produzione. Ma attenzione, potranno essere utilizzate anche per impianti intensivi coltivati con le varie forme di vaso che prevedono il solo utilizzo dello scuotitore al tronco”.

Dunque nessuna competizione tra forme di allevamento?
“Assolutamente no, tradizionale, intensivo e superintensivo possono e devono convivere nel panorama olivicolo nazionale, preservando biodiversità, produzione, qualità dell’olio e valore paesaggistico”.

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Tags: in evidenza, intensivo, Maurizio Servili, Olive-Hub, umbria

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