Dopo il grido disperato di Giorgio Pannelli che esortava “Svegliamoci!” per evitare la drammatica fine della olivicoltura italiana, ecco ora l’appello di Barbara Alfei (nella foto): “Neuroni in posizione ON!”
Aprire gli occhi è il primo passo, sottolinea la capo panel di Amap Marche, ma poi bisogna “attivare” i neuroni, farsi delle domande, quindi studiare e approfondire per cercare le risposte. “Non esistono soluzioni miracolose alla profonda crisi in cui versa l’olivicoltura italiana – spiega – ma proposte concrete, basate su studio, conoscenza, scienza ed esperienza. L’olivo – aggiunge – è una specie peculiare, non necessariamente si adatta alle soluzioni adottate in viticoltura e frutticoltura… L’olivo è l’OLIVO, con la sua fisiologia, i suoi comportamenti vegetativi e produttivi, le sue esigenze, che vanno conosciute e rispettate. Non dimentichiamoci, inoltre, che è una pianta intelligente, che ha lo stesso numero di cromosomi del genere umano, ovvero 46, che è abituata a soffrire, aspetta che il tempo passi, tollera tante avversità, di cui la principale è l’uomo (cit. Giorgio Pannelli). È anche una pianta sempre verde, viva e vigile durante tutto l’anno, si fa voler bene: difficile volerne allo stesso modo ad una vite o un pesco nel periodo invernale! Ed ha un potere terapeutico che altri non hanno, pensate alla sensazione di benessere che si prova abbracciando un olivo plurisecolare!”
La proposta concreta su come gestire e recuperare gli oliveti tradizionali è stata gridata ad alta voce da Giorgio Pannelli su OlivoNews: vaso policonico senza se e senza ma, gestione del terreno, salvaguardia del suolo e dell’ambiente.
Barbara Alfei, quali altre soluzioni adottare?
“Il recupero e la valorizzazione della biodiversità olivicola, così ricca e variegata in Italia come in nessun altro paese al mondo. È un tesoro, che dobbiamo custodire e che rischiamo di perdere, correndo dietro alle proposte miracolose”.
Si riferisce all’alta densità, proposta come un’opportunità? Il messaggio che mandano i sostenitori di questo modello però è chiaro: produrre tanto i primi anni, risparmiare in manodopera, facilitare la raccolta utilizzando macchine scavallatrici!
“Ripeto, accendete i neuroni, facciamoci qualche domanda. Quanto costa l’impianto? Acquisto di 2000 piante anziché 300, palificazione, impianto di irrigazione…e poi i costi di gestione.
Quanto dura l’impianto? Quando andrà in tilt, perché le piante necessariamente andranno in competizione e la vita economica dell’oliveto volgerà al termine, che faremo? Espianteremo (e quanto costerà?) e ripianteremo? O lasceremo i problemi a quelli che vengono dopo, i quali non riusciranno a gestirli. E di nuovo il destino sarà l’abbandono, di un bosco in questo caso. Ed ancora, le varietà: quante sono quelle che apparentemente funzionano? Da dove vengono? Si adattano a tutti i climi e a tutti i terreni? E poi, funzionano veramente quelle italiane proposte in alternativa alle solite note? Quanta acqua dobbiamo dare? Quanto concime? Quanti terreni si adatterebbero per composizione e orografia?
Il sistema è collaudato abbastanza? Chi dovrà verificare, gli olivicoltori a loro spese o gli istituti di ricerca? E soprattutto… che fine farà la biodiversità? La vogliamo relegare a zone marginali, terreni scoscesi e impervi, terrazzamenti, zone di montagna?
E se ridurremo drasticamente il numero delle varietà, piantando solo poche e sempre le stesse in tutta Italia, alla faccia della compatibilità ambientale, che assume sempre più importanza in epoca di cambiamenti climatici, che succederà quando arriverà il virus o batterio “pincopallino”, alle quali queste saranno sensibili?
E poi, che olio intendiamo produrre? Un extravergine generico, che in altre zone del mondo riusciranno sempre a produrre a prezzi più competitivi rispetto a noi?
E l’olio …quanto deve costare? Un anno sfortunato come questo ha portato un considerevole aumento del prezzo delle olive e dell’olio. E per fortuna! Ma servono le annate negative per restituire il giusto valore all’olio? Non possiamo continuare a correre dietro al prezzo, tentando la riduzione drastica dei costi di produzione, andando incontro a mille problematiche, compreso lo sfruttamento del suolo, della risorsa idrica sempre più preziosa, l’impatto della chimica per concimazioni e trattamenti fitosanitari, lo scarso rispetto dell’ambiente, in un’epoca in cui i cambiamenti climatici ci fanno riflettere e si sta tornando indietro su molte scelte del passato, compresa l’intensificazione culturale”.
Quindi, cosa propone?
Restituiamo dignità all’olivicoltura in poche mosse:
– Conosciamo l’olivo, fino in fondo.
– Studiamo, acquisiamo competenze in tutta la filiera, oppure affidiamoci a professionisti e non al …. come faceva nonno.
– Salviamo la biodiversità e rispettiamo la territorialità delle varietà, puntiamo sulle autoctone, con le loro tolleranze e suscettibilità: non esiste la varietà “supereroe”, adatta a tutti i climi, terreni ed esigenze.
– Progettiamo razionalmente i nuovi oliveti, senza affidarci ai vivaisti per le scelte varietali.
– Produciamo un olio che vada oltre la qualità generica (rispondenza ai requisiti chimici e sensoriali per la categoria extravergine), che abbia una forte identità.
– Manteniamo gli oliveti tradizionali, le piante storiche, capaci di generare bellezza, di caratterizzare i territori, di regalare benessere, di creare lavoro ai giovani motivati e preparati.
– Valorizziamo l’olio, arricchendolo di tutto quello che ruota intorno al concetto di terroir: storia, arte, cultura, tradizioni, territorio, olivi monumentali, ricette tipiche e, alla base di tutto, il produttore, il vero protagonista, colui che ci mette la faccia, la professionalità ed il cuore.
– E soprattutto, facciamo squadra!!
Sfide impegnative, non crede?
“Servono importanti sinergie: gli oliveti non saranno abbandonati se dimostriamo ai giovani che si può produrre reddito anche dall’olivo, se la gestione e la potatura vengono fatte in maniera razionale, se si salvaguarda l’ambiente e quindi la salute di chi ci vive, se si valorizza l’olio, vendendolo ad un prezzo che sia remunerativo; dall’altra parte, i consumatori devono capire che l’olio di qualità e tipico ha un valore sensoriale, nutrizionale e salutistico tale da non poterlo sostituire con altri grassi, e devono essere disposti a pagarlo il giusto prezzo. È necessario fare rete nelle comunità locali per sostenere il reddito dei produttori e dei trasformatori, acquistando olio di grande qualità a prezzo remunerativo consentendo quindi, tutti insieme, la salvaguardia del territorio, facendo in modo che i giovani restino in loco occupandosi, con la loro capacità imprenditoriale, della manutenzione e della valorizzazione degli oliveti e del relativo territorio, penso a muretti a secco, abitazioni storiche, olivi secolari, paesaggio agrario, cultura locale, ecc.
In questo senso la legge sull’oleoturismo offre un contributo importante alla valorizzazione non solo del patrimonio olivicolo, ma anche della storia e della cultura dei territori. Ecco perché con AMAP sosteniamo da sempre i monovarietali con la Rassegna Nazionale: è il naturale percorso di un prodotto ottenuto da una varietà specifica di quel territorio, autoctona, con le sue peculiari proprietà che ne esaltano l’identità e l’unicità.
Insomma, per chiudere… Non esistono scelte giuste o sbagliate a prescindere. L’appello è: accendiamo i neuroni! Ascoltiamo consigli, apriamoci a tutte le proposte, valutiamo tutte le possibili scelte, soppesando i pro e i contro, non solo nell’immediato, ma anche nel breve e lungo periodo, e poi scegliamo consapevolmente la nostra strada, disposti a difendere le decisioni prese ed assumerci pienamente rischi e responsabilità”.
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