La crisi dell’olivicoltura? Si supera tornando alla tradizione

Mauro Agnoletti, Università di Firenze, analizzai i futuri scenari
Tecnica e Ricerca
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“La stagione olivicola 2023 evidenzia non solo le conseguenze della crisi climatica, ma anche la crescita esponenziale della dipendenza italiana dall’estero. Secondo i dati Coldiretti quasi 3 bottiglie su 4 consumate in Italia provengono dall’estero, con un record di importazioni pari a 2,2 miliardi euro nel 2022 e un incremento del 20% circa nei primi sei mesi del 2023: dobbiamo interrogarci sui prodotti che chiamiamo tipici. Se vogliamo salvaguardare il nostro territorio e la sovranità alimentare, dobbiamo lavorare strategicamente per valorizzare le coltivazioni agricole di tipo tradizionale. Colture che producono quantità inferiori, ma hanno dimostrato di essere più resilienti a siccità ed eventi climatici estremi, per il 90% sono gestite da aziende agricole familiari”.

La pensa così Mauro Agnoletti (nella foto), professore della cattedra Unesco sui Paesaggi Agricoli presso l’Università di Firenze, in una recente riflessione pubblica che proponiamo ritenendola meritevole di attenzione. Mentre il centro-nord ha praticamente chiuso una campagna in forte calo e nel sud sta proseguendo a pieno regime, a partire dalla Puglia, una stagione fortunatamente con il segno positivo, Agnoletti suggerisce “non solo di conservare, ma adottare modelli di agricoltura che si sono dimostrati dinamici e in grado di adattarsi a climi mutevoli e ambienti difficili, sostenuti anche a livello mondiale dalla Fao con il programma Giahs (Sistemi Importanti del Patrimonio Agricolo Mondiale) e in Italia dal Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali di Interesse Storico delle Conoscenze e delle Pratiche Agricole Tradizionali.

Si tratta – ha aggiunto Agnoletti – di modelli che anche il Commissario Europeo all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, ha dichiarato essere quelli a cui bisogna spesso guardare quando si parla di innovazione in agricoltura per rispondere alle crisi climatiche e politiche che sempre più spesso richiederanno di non rimanere esposti alle fluttuazioni legate alle disponibilità e ai costi dei mercati internazionali”.

Un cambio di rotta che il docente ritiene indispensabile perché “le soluzioni fin qui suggerite ricalcano schemi già visti in passato: piantagione di nuovi oliveti, intensificazione della produzione, irrigazione, meccanizzazione. Soluzioni che hanno dato risultati limitati, se non contradditori, visto l’abbandono di 9 milioni di ettari di aree agricole dal Dopoguerra ad oggi, e che, dal 1982, sono scomparse 2 aziende agricole su 3. Ricordare la dieta mediterranea, la tradizione storica risalente ai romani – conclude Agnoletti – e invitare a comprare italiano è sacrosanto. Ma lo è anche ricordare che la qualità non è solo una questione di confini territoriali: il vero valore aggiunto non riproducibile del nostro Paese è il paesaggio plasmato dall’uomo nei secoli attraverso pratiche agricole antiche, che oggi si rivelano anche prezioso strumento per combattere il cambiamento climatico e non esporci eccessivamente alle fluttuazioni del mercato globale”.

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Tags: Agnoletti, in evidenza, tradizione

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