di Maurizio Pescari
La cucina italiana diventa Patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Per la prima volta il riconoscimento non va a un piatto, ma un valore culturale che nel tempo ha tramandato gesti e memoria, costruendo una identità, la nostra. La ‘cucina’ che io vedo riconosciuta in questo arto dell’Unesco, è lo spazio di quella casa italiana, centro della vita di una famiglia. Quella tavola intorno alla quale abbiamo costruito la nostra identità, forte di relazioni nate e cresciute intorno a essa. Il valore aggregante di quella tavola, messa lì al centro, dove ritrovarsi parlare, fare pace, decidere cosa fare, sentir raccontare cosa si è fatto. E mangiare. Sì, mangiare! Indipendentemente dal ‘cosa’ e dal ‘quanto’, mangiare.
È il concetto di ‘immateriale’ a fare tutta la differenza del mondo. L’altra cucina, quella nel piatto di pasta, nelle minestre, della carne, dei bolliti, dei soffritti, del vino e dell’olio, è da sempre patrimonio dell’umanità, tangibile. Il valore ‘immateriale’ intorno al quale sono cresciute generazioni. Restano le diversità nelle preparazioni, quelle che danno alla cucina italiana il valore dei paesi, delle case, dove tutto è più buono perchè l’ho fatto io, come l’olio, più buono perché è il mio. Ma c’è una cosa che rende unico il nostro Paese è quella tavola intorno alla quale ci si riunisce tutti, insieme, alla stessa ora.
Un valore ‘immateriale’ che fa veramente la differenza.
Questo riconoscimento deve aiutarci a riconoscere e far conoscere alle nuove generazioni questi valori, a recuperarli se necessario, se smarriti nella voragine del consumismo, alimentata dalla comunicazione e dall’alimentazione di massa, dove la fretta ha preso il tempo della scelta e i social ci hanno tolto la parola da condividere con una fetta di pane e olio.



















