È una sentenza destinata a far rumore quella emessa dal Consiglio di Stato che ha stabilito che la sansa di oliva non può più beneficiare di un doppio incentivo per la produzione di biometano, se può essere utilizzata per scopi alimentari. Insomma, prima di essere destinata al biodigestore, la sansa andrebbe depurata da tutto l’olio che ancora conserva, praticamente imponendo un passaggio prima al sansificio. Solo a quel punto, non avendo più un utilizzo alimentare, può essere ammessa all’incentivo se destinata a fini energetici. La decisione impone al GSE (Gestore dei Servizi Energetici) di rivedere le regole, dando priorità all’uso della sansa per la produzione di olio alimentare secondo il principio europeo “food first”. A darne notizia, confermando le voci che stavano già circolando, è stato il sito RiciclaNews.
La sentenza del Consiglio di Stato

Secondo i giudici, il GSE, il Ministero dell’agricoltura e il Comitato biocarburanti non avevano valutato a sufficienza quali tipi di sansa fossero adatti per usi non energetici, né avevano considerato l’impatto sul mercato. La sentenza sottolinea che la sansa umida può essere utilizzata per produrre olio di sansa alimentare e che un’incentivazione “ampia e incondizionata” per il biometano causerebbe rilevanti distorsioni di mercato, violando il principio di utilizzo a cascata della biomassa (prima per il cibo, poi per l’energia).
Le conseguenze per il mercato
Già nel 2015, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva segnalato il rischio di distorsioni causate dagli incentivi per la sansa. La nuova sentenza rileva che, a partire da quell’anno, la quantità di sansa presa in carico dai sansifici è sensibilmente diminuita, a svantaggio della produzione di olio di sansa.
La decisione del Consiglio di Stato è storica perché per la prima volta in Italia sancisce l’obbligo di rispettare il principio “food first”, un concetto ribadito anche dalla direttiva europea RED III sulle energie rinnovabili. A causa del mancato recepimento di questa direttiva, l’Italia ha recentemente ricevuto una nuova procedura di infrazione dall’Unione Europea.
Ora, il GSE dovrà rivedere il sistema di incentivi, garantendo che i sostegni economici per l’uso energetico della sansa vengano riconosciuti solo quando non sono possibili altri usi, tutelando così la concorrenza e, soprattutto, il mercato dell’olio di sansa.
Le conseguenze per i frantoiani
Gli effetti per i frantoiani? Estremamente preoccupanti. Perché gran parte dei frantoi italiani che lavorano a due fasi destinano da tempo la sansa per la produzione del biogas. Sono gli stessi titolari dei biodigestori che si fanno carico del ritiro, riconoscendo in alcuni casi un compenso. Anche se spesso l’operazione avviene senza scambio di denaro, in virtù del fatto che il frantoiano si libererebbe comunque degli oneri per lo smaltimento, magari perché nel ritiro sono comprese anche le acque di vegetazione.
Per chi gestisce il biodigestore, infatti, la spesa del trasporto di cui si fa carico è compensata proprio dal doppio incentivo che riceve dal GSE. Cosa accadrà ora che il contributo non sarà più riconosciuto? Inevitabilmente, immaginano i frantoiani, c’è il rischio che il ritiro della sansa possa avvenire solo dietro pagamento. Anche perché, eventualmente, di sansifici ne sono rimasti davvero pochi in Italia e per migliaia di frantoi sono anche a distanze chilometriche enormi. Per questo le associazioni di categoria sono già all’opera per leggere attentamente la sentenza e studiare le contromosse.



















