“Combattere con misure incisive le tante frodi nel settore olivicolo, dando dignità a chi opera concretamente e correttamente per garantire ai consumatori un extravergine italiano nelle loro tavole”. Questo il senso dell’audizione che Riccardo Guglielmi, presidente dell’Associazione FIOQ – Frantoiani Italiani Olio di Qualità (nella foto), ha avuto ieri al Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare dove ha rappresentato le istanze di questa rete di frantoiani pugliesi che, come tengono a precisare, produce all’incirca la metà dell’olio classificato come 100% italiano.
“Siamo andati al Ministero – ci spiega Guglielmi – per chiedere un’attenzione particolare per il comparto dei frantoiani e per la filiera olivicola in generale, oggetto di continui attacchi sleali portati avanti da speculatori e da operatori esteri che esportano nel mercato comune e non sono soggetti alle stesse limitazioni e le stesse procedure burocratiche che gravano sulla nostra filiera. Il mondo dei frantoiani rischia di scomparire, soppiantato da abili speculatori e commercianti senza scrupoli che danneggiano soltanto il Made in Italy, svendendolo al miglior offerente”.
Gugliemi, cosa avete proposto in particolare?
“Dieci punti per riportare in auge la vera olivicoltura italiana e l’industria molitaria tricolore”.
Cominciamo con il primo.
“Parificare la figura del frantoiano a quella del produttore di olio. Non siamo semplici trasformatori, siamo produttori e come tali vogliamo essere considerati nei tavoli istituzionali, dove oggi siamo assenti. Inoltre vogliamo essere inseriti come produttori nella Pac, così come avviene per i produttori degli altri settori agroalimentari”.
Andiamo con il secondo punto.
“Istituire una Commissione Unica dei Prezzi come avviene per il grano. Non è possibile avere prezzi diversi in ogni regione: così si alimentano le frodi con le olive che partono dalla Puglia per raggiungere le regioni del nord o in quelle dove si spuntano prezzi migliori”.
Veniamo al terzo punto.
“Basta contratti di olio Iva compresa come impongono i confezionatori. Noi compriamo le olive più Iva, le borse merci indicano il prezzo più Iva, poi impongono a noi un prezzo Iva compresa, un ulteriore 4% che perdiamo”.
Siamo al quarto.
“Chiediamo un controllo pre-raccolto della produzione per verificare i reali quantitativi in campo. Vogliamo controlli di particelle a campione, così ce la finiamo con regioni che hanno annate di scarica con il 30% della produzione che dichiarano invece di averne avuto un 60%, coprendosi così le spalle dall’acquisto magari in nero di olive da altre regioni”.
Dopo il quarto c’è il quinto.
“Serve anche un controllo sulla commercializzazione delle olive e dell’olio fra le regioni da realizzarsi attraverso l’istituzione di appositi registri, come già avviene nella filiera vitivinicola. Questo consente di evitare quello che definiamo olio di carta, cioè olio che è considerato realizzato in quella regione solo perché così viene dichiarato sulle carte e magari è addirittura di origine straniera”.
Come sesto punto invece?
“Intensificare i controlli sull’olio proveniente dall’estero, tracciandone il percorso fino la destinazione finale, in particolare dall’olio tunisino che entra senza dazi e da quello proveniente dal Marocco. Un esempio: l’olio senza dazi può essere acquistato solo per confezionarlo per i paesi poveri. Se però è di buona qualità, come a volte capita, è normale la tentazione di utilizzarlo per venderlo in Italia e destinare ai paesi poveri magari altro olio di pessima qualità, chissà come reperito”.
Eccoci al settimo punto.
“Questo è immediato. Un inasprimento delle pene per il falso Made in Italy a tutela dei produttori seri e corretti”.
Andiamo allora all’ottavo.
“Un rigoroso controllo delle rese in olio delle olive molite. Qui siamo in presenza di una delle truffe più note. Se la resa è del 10 e dichiaro invece il 22, ho un 12 in più di olio che posso acquistare magari in nero da altre regioni del sud Italia e commercializzarlo come olio di quella determinata regione”.
Siamo al nono punto.
“Prevedere incentivi per la cartolarizzazione del Made in Italy ai frantoi. Siamo responsabili della tracciabilità dell’olio italiano. E questo malgrado le aziende agricole, a differenza di quanto accade ad esempio nel settore del vino, si rifiutino di mostrarci i fascicoli aziendali o anche i quaderni di campagna. Per il vino si richiede di tutto e di più. Nel settore dell’olio è invece tutto permesso. Chi tutela il frantoiano?”
Infine l’ultimo punto.
“Chiediamo l’autorizzazione al miglioramento qualitativo dell’olio attraverso gli enzimi naturali come avviene in tutte le altre filiere agroalimentari. Questo al fine di preservare la qualità ed anche la durata dell’olio. Oggi non ha più senso questo divieto di utilizzo di enzimi naturali”.
Che risposte avete avuto dal Ministero?
“Abbiamo apprezzato la disponibilità a discutere su tutto. Ovviamente per le questioni che riguardano norme europee, vi sarà la necessità di un approfondimento a Bruxelles che richiederà più tempo. C’è stata anche la disponibilità ad un coinvolgimento di Ismea, soprattutto per sostenere i frantoi con misure sugli interessi, perché ci troviamo di fronte ad esposizioni importanti. Insomma: i frantoiani sono l’anello di congiunzione tra il comparto produttivo e quello della commercializzazione dell’olio. Siamo mastri oleari, custodi di un sapere antico e capaci di innovare. Non ci siamo mai sottratti all’evoluzione, continuando ad investire per non rimanere indietro rispetto ai tempi che corrono e per offrire al mercato un prodotto sempre più di qualità, salubre, tracciato e dal forte legame con l’identità territoriale. E malgrado tutto questo, continuiamo a prendere gli schiaffi da una parte all’altra. È ora di dire basta!”.