A partire dal prossimo anno, l’olivicoltura italiana si dovrà preparare ad affrontare un nuovo e significativo rincaro sui costi di produzione. Dal 1° gennaio 2026 entra infatti in vigore a pieno regime il Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere dell’Unione Europea (CBAM) che estende l’obbligo di acquisto di “certificati di carbonio” anche ai fertilizzanti azotati importati da fuori Europa (e fuori dall’Europa, in particolare da Nord Africa e medio Oriente, proviene la quasi totalità di urea).
Come noto, già per i produttori europei vi è l’obbligo di compensare annualmente le proprie emissioni di CO₂ prodotte con l’acquisto di crediti di carbonio attraverso l’ETS (Sistema di Scambio di Quote di Emissione dell’UE). Con queste nuove disposizioni, l’obbligo di acquisto viene esteso anche ai produttori extra Ue. Una scelta che permette, peraltro, di contrastare anche il fenomeno del carbon leakage indiretto, ovvero il rischio che le aziende europee, per evitare di sostenere i costi dell’ETS, trasferiscano la produzione in paesi extra-UE con standard ambientali meno rigorosi e spese ridotte, vanificando così gli sforzi climatici europei.
In questa sorta di continua caccia alle streghe, a rimetterci saranno comunque gli agricoltori, olivicoltori compresi.
Tale meccanismo, infatti, impone un costo sulle importazioni di prodotti ad alta intensità di carbonio (tra cui, da quest’anno, i fertilizzanti) che sia equivalente a quello già sostenuto dai produttori europei nell’ambito dell’ETS. Gli importatori europei di fertilizzanti dai paesi extra Ue dovranno, perciò, acquistare certificati CBAM in quantità pari alle emissioni di CO₂ incorporate nel prodotto importato. Il prezzo di tali certificati sarà allineato alla media settimanale del prezzo delle quote ETS. Un meccanismo dal funzionamento complesso, ma dagli effetti chiarissimi: aumentare il costo del prodotto finito.
Sebbene la fase transitoria sia già iniziata nel 2023, dal 1° gennaio 2026 scattano gli obblighi finanziari per gli importatori, con la progressiva eliminazione delle quote ETS gratuite che erano state previste per alcune tipologie di produzioni europee.
Regna ancora l’ incertezza sul calcolo definitivo, ma le stime degli operatori del settore indicano un impatto significativo, che sarà inevitabilmente scaricato sugli agricoltori. Per l’urea, uno dei fertilizzanti azotati più comuni e importati, si stimano rincari che potrebbero addirittura raggiungere anche i 50 euro a tonnellata. Per i fertilizzanti a base di NP (azoto-fosforo), l‘aumento potrebbe variare tra i 20 e i 40 euro a tonnellata, calcolato sulla quota di azoto. Si tratta di stime che ovviamente andranno tutte eventualmente confermate, perché non vi sono ancora comunicazioni ufficiali.
Di certo sarà un aumento che si somma a una situazione già critica: i fertilizzanti rappresentano, infatti, già una quota importante dei costi di produzione agricola, con prezzi quasi raddoppiati dall’inizio del conflitto in Ucraina e ulteriori rincari dovuti a recenti tariffe sulle importazioni da Russia e Bielorussia.
Il rischio concreto è che molti olivicoltori alla fine rinuncino ad acquistare fertilizzanti per i loro oliveti, impossibilitati a sostenere costi così alti. E di certo – stavolta non c’è bisogno di stime – senza fertilizzanti la produzione olivicola andrà inevitabilmente a diminuire e con essa la redditività delle aziende. Aumentando, viceversa, l’importazione di olio dall’estero. In barba al riconoscimento di Cucina Italia patrimonio dell’Unesco e dell’importante ruolo dell’olio extravergine di oliva italiano nel concorrere a tale risultato.



















