Condimenti, oli aromatizzati e miscele di oli vegetali stanno soppiantando l’extravergine sugli scaffali dei supermercati italiani. Un’invasione silenziosa in nome dell’abbattimento dell’inflazione che rischia di produrre danni a lungo termine.

“Oltre al danno la beffa – commenta Sicolo – perché già il mondo olivicolo sta facendo i conti con i rincari nei costi di produzione, oltre ai fenomeni meteo estremi, per poi magari veder deprezzato il prodotto per via dell’ingresso prepotente sul mercato di oli di fantasia, spesso non normati”.
L’olio extravergine di oliva, fin dal Regolamento europeo 2568 del 1991, deve rispettare rigidi parametri chimici e sensoriali per poter essere etichettato come tale. Dell’olio extravergine di oliva il consumatore conosce l’origine e le caratteristiche, leggendo l’etichetta. Tutte regole che non esistono per i condimenti e gli oli aromatizzati, certamente meno sicuri e salubri della spremuta di olive ben conosciuta fin dai tempi dell’antica Roma.
“Siamo al paradosso che, comprando un olio di bassa qualità e aggiungendoci qualche aroma, magari di sintesi, gli industriali e la Grande distribuzione possano avere margini di profitto più alti rispetto all’extravergine – spiega Sicolo -. E’ così che, parafrasando la legge di Gresham, l’olio cattivo scaccia quello buono dagli scaffali. Un rischio che denunciamo con forza, perché sappiamo che certe ‘ricette’ possano anche sembrare economiche e piacevoli nel breve periodo, ma nel lungo intossicano il tessuto del Paese”.
La giusta strada non può che essere ripercorrere quanto intrapreso dall’Italia con il divieto della produzione e commercializzazione delle miscele di oli di oliva con oli vegetali, che invece l’Unione europea voleva imporre con il regolamento 1019/2002. “Tutelare l’olio extravergine di oliva significa salvaguardare la nostra sovranità alimentare, le nostre tradizioni e i nostri piatti tipici -conclude Sicolo- dobbiamo abituare i giovani a regimi salutistici, come la dieta mediterranea, e non avvicinarci a regimi alimentari insalubri, come quello americano o nord europeo, dove questi condimenti già spopolano, ma dove anche le malattie cardiovascolari e degenerative hanno incidenze ben più elevate di quelle italiane”.

















