Loiodice: “Olivicoltori, facciamo un cambio di passo. Insieme!”

Gli obiettivi del nuovo mandato del riconfermato presidente Unapol
Economia
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“Gli olivicoltori italiani sono chiamati a nuove sfide per rendere il settore moderno, competitivo, sostenibile. E come associazione di OP siamo noi per primi chiamati a supportare gli associati ad un cambio di passo”. Tommaso Loiodice (nella foto), con la fresca riconferma al timone di Unapol, traccia la rotta del nuovo mandato individuando quelli che saranno gli obiettivi su cui l’associazione punterà maggiormente.

Presidente Loiodice, da dove ripartire?
“Dalla consapevolezza che occorre innanzitutto aumentare la produzione. E renderla stabile di anno in anno, senza esagerate alternanze. E quando parlo di una olivicoltura produttiva, intendo che sappia ridurre i costi di produzione, ma che non rinneghi la tipicità”.
E torniamo all’eterno dilemma: impianti tradizionali con rispetto della biodiversità e costi elevati o superintensivi con varietà straniere dove tutto è meccanizzato?
“C’è una via di mezzo. Ed è una olivicoltura che sappia aprirsi alla modernizzazione tecnologica senza perdere di vista la sua identità. Penso, ad esempio, ai droni per i trattamenti fitosanitari: sembra una moda, ma riducono i costi e permettono di intervenire in zone marginali. Senza demonizzare gli intensivi con varietà autoctone, visto che ce ne sono adatte a tale impianto”.
Resta il problema della frammentazione del settore. Con la stragrande maggioranza di olivicoltori che hanno un ettaro di oliveto, come sviluppare questo incremento produttivo?
“Qui devono entrare in gioco realtà come la nostra con il ruolo di soggetto aggregante. Lo abbiamo fatto con la concentrazione del prodotto, veicolato attraverso il marchio La Finezza che sta cominciando a darci soddisfazioni, dobbiamo farlo anche nella gestione agronomica”.
In che modo?
“Con la formazione e con la condivisione di obiettivi. Abbiamo l’esperienza di una cooperativa di servizi che gestisce oggi 55 ettari di oliveti a rischio abbandono sparsi in due Comuni. La vicinanza dei terreni permette di ottimizzare i tempi, gestire al meglio i fondi, ottenere risultati. Ma non basta”.
Continui…
“Perché, come ho detto, c’è anche bisogno di formazione. L’olivicoltore oggi deve avere una qualificazione professionale adeguata alle nuove tecnologie. Deve saper utilizzare le tecniche per mappare il territorio, per capire come meglio gestire le risorse idriche o gli interventi fitosanitari, come utilizzare i sensori con le colonnine meteo. La vecchia figura del bracciante agricolo dove, per definizione, contavano solo le braccia, non può più essere compatibile con l’olivicoltura moderna. Su questo Unapol dovrà giocare un ruolo centrale”.
C’è un modello a cui fare riferimento?
“Certamente, quello vitivinicolo. Copiare dal mondo del vino non è un limite. Hanno dimostrato di saper valorizzare i vitigni autoctoni, il territorio e con esso tradizione e cultura, facendo crescere l’economia con una perfetta sinergia tra storia e innovazione”.
Non rischia di essere il solito libro dei sogni?
“No, è viceversa una strada obbligata. Che sappia anche approcciare in maniera efficace non solo alla sostenibilità, ma anche all’economia circolare e dunque con una valorizzazione di quelli che ancora per molti sono considerati sottoprodotti: nocciolino, sansa, acque di vegetazione, fogliame. Provo a spiegare: la cosmesi non potrà mai essere il core business di un’azienda olivicola, ma può entrarvi a far parte con l’utilizzo degli scarti di lavorazione. In questo l’olivicoltura oggi ha uno straordinario bisogno del supporto del mondo della ricerca per trovare nuove soluzioni che diano valore proprio ai sottoprodotti. E per ribadire che non si tratta di un libro dei sogni, abbiamo anche l’oleoturismo da valorizzare come merita, al pari di quello che è accaduto per l’enoturismo, tanto per restare in tema del modello a cui fare riferimento”.
In questo scenario, vi è un difficile rapporto da recupere con frantoiani e confezionatori…
“Nella misura in cui tutti capiremo di far parte della stessa famiglia olivicola, riusciremo a crescere con reciproche soddisfazioni. L’interprofessione, in questo senso, diventa una strada maestra: basta lotte intestine, operiamo per il bene del settore. Un esempio: se con i confezionatori sono in grado di costruire un accordo di filiera pluriennale che possa stabilizzare la quotazione del prodotto con un equo riconoscimento economico, avremo una reciproca tranquillità produttiva, evitando che un anno pianga l’uno e un anno pianga l’altro”.
Sullo sfondo l’impegno del governo ad un nuovo piano olivicolo. Che suggerimenti si sente di dare?
“Un piano olivicolo deve porsi tre obiettivi: aumentare la capacità produttiva di olio, avere una maggiore aggregazione di prodotto con crescita qualitativa, diffondere l’innovazione tecnologica mettendo a sistema la filiera. Una scavallatrice non la può acquistare il piccolo olivicoltore: agevolare politiche che aiutino l’aggregazione, viceversa, rende questa una operazione possibile per una comunità di olivicoltori che scelgono un intensivo con varietà del territorio. Il tutto con azioni di finanziamento e promozione che incentivino la vendita del prodotto italiano. Poi aggiungo altri due elementi: favorire una riforma fondiaria che accompagni le aziende agricole alla migliore gestione aziendale e soprattutto agevolare l’accesso al credito. Perché un’azienda olivicola spende soldi nel corso dell’intero anno tra interventi e trattamenti e raccoglie solo a dicembre, trovandosi ad anticipare importanti risorse che, senza un accesso adeguato a forme di finanziamento, diventa sempre più insostenibile”. .

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