I MOAH nell’olio di oliva? Una pericolosa confusione: ecco perché!

Limiti molto rigidi per questi contaminanti minerali, ma gli strumenti di controllo sono inaffidabili, creando danni al settore olivicolo-oleario. Spieghiamo il perché
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Negli ultimi anni si sente parlare sempre più di MOAH (Mineral Oil Aromatic Hydrocarbons) nell’olio d’oliva.
Ma che cosa sono davvero? I MOAH sono sostanze di origine minerale con una struttura chimica “aromatica”, cioè ad anello, e non provengono dall’oliva; sono contaminanti esterni che possono arrivare negli alimenti attraverso macchinari, imballaggi riciclati, inchiostri o l’ambiente. L’oliva non li produce e non fanno parte della sua composizione naturale. E allora perché compaiono nelle analisi dell’olio? Il motivo è tecnico e riguarda il modo in cui vengono cercati.

Il metodo oggi utilizzato non distingue l’origine delle molecole, vede solo la loro forma, e molte molecole naturali dell’oliva hanno una forma simile a quella dei MOAH. In chimica, infatti, la parola “aromatico” non indica un profumo o un sapore, ma una struttura ad anello, una molecola aromatica può essere completamente inodore. È un po’ come dire che due oggetti sono rotondi: uno può essere una mela, l’altro una ruota. Hanno la stessa forma, ma non la stessa natura.

Durante la frangitura, l’oliva libera naturalmente triterpeni, steroli, composti fenolici e altre molecole aromatiche che passano nell’olio.
Il rivelatore utilizzato dal metodo, il FID, registra come “MOAH” tutto ciò che vede in una certa finestra cromatografica, senza riconoscere se proviene dall’oliva o da un olio minerale. Così, sostanze naturali e innocue vengono confuse con contaminanti, generando falsi positivi e sovrastimando la presenza reale di MOAH.

Questo fenomeno, chiamato co-determinazione, è ancora più evidente nell’olio di sansa, dove i processi estrattivi concentrano i composti naturali dell’oliva, amplificando ulteriormente il segnale.

Anche le olive da tavola, pur immerse nella salamoia, contengono lipidi e composti aromatici che possono interferire con l’analisi.
Per farla breve, il metodo attuale non è in grado di distinguere ciò che è naturale da ciò che è realmente pericoloso.

La questione non nasce oggi, già all’inizio degli anni Duemila gli scienziati avevano osservato la migrazione di idrocarburi da imballaggi in cartone riciclato verso alimenti secchi come cereali e biscotti. Solo più tardi, dal 2012, alcuni laboratori europei iniziarono a rilevare tracce di MOAH negli oli vegetali, ma i risultati erano incoerenti e difficili da interpretare.

Nel 2014 il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea confermò che non esisteva un metodo ufficiale capace di identificare selettivamente i composti realmente pericolosi. Nonostante queste incertezze, la pressione dell’opinione pubblica nordeuropea spinse la Commissione a valutare limiti molto rigidi. Senza un metodo selettivo, però, fissare limiti significava rischiare di penalizzare prodotti che non presentano alcuna contaminazione reale. Per questo motivo, negli ultimi anni, diversi Paesi mediterranei hanno espresso forti perplessità.

La Grecia, attraverso la Società Scientifica degli Enciclopedisti dell’Olivo (4E), ha denunciato pubblicamente l’inadeguatezza del metodo, richiamando il principio di proporzionalità del diritto europeo: non si possono imporre limiti che danneggiano un settore strategico senza basi scientifiche solide. Anche Italia e Spagna osservano con attenzione, consapevoli che la questione riguarda l’intera filiera dell’olivo.

A questo punto è utile distinguere chiaramente due categorie: MOSH e MOAH.
I MOSH sono idrocarburi saturi, lineari o ramificati, e secondo le valutazioni scientifiche attuali non sono considerati tossici.
I MOAH, invece, sono un insieme molto più vario, alcuni sono innocui, altri possono essere potenzialmente pericolosi.
Il problema è che il metodo LC–GC/FID oggi utilizzato non separa queste sottocategorie e non distingue i composti naturali dell’oliva da quelli minerali. Esistono strumenti molto più precisi, come la cromatografia accoppiata alla spettrometria di massa, capaci di riconoscere le molecole una per una e capire se un segnale proviene davvero da oli minerali; ma questi metodi, per ora, non sono quelli adottati nelle norme europee.

La conseguenza è che oggi la questione MOAH non riguarda tanto la sicurezza dell’olio d’oliva, quanto la precisione degli strumenti utilizzati per analizzarlo.

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Tags: in evidenza, inquinanti dell'olio, Moah, olio di oliva, olive da tavola

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