Farchioni: “Il 2024 destinato a cambiare il mercato dell’olio”

Focus su mercati e consumi a fronte del calo produttivo mondiale
Economia
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“Le analisi di mercato ci offrono almeno un dato confortante da cui partire: pur in presenza di un trend di consumi in calo, gli italiani non sostituiscono l’extravergine, ma ne utilizzano meno. Finite le promozioni, a scaffale i consumi quotidiani reggono, sono invece diminuiti i cosiddetti consumi di scorta. Insomma, si compra una bottiglia anziché due. E questo è confermato anche dal fatto che il consumo degli oli di semi in generale è sì aumentato, ma meno di quanto ci si potesse aspettare”.

Marco Farchioni (nella foto), export manager dell’azienda di famiglia, nome tra i leader nazionali nella vendita dell’extravergine, prova a guardare il bicchiere mezzo pieno al termine di uno degli anni probabilmente più complessi del settore olivicolo-oleario.

Dottor Farchioni, ci sono dunque margini per avere fiducia?
“Non si tratta di avere fiducia o meno, occorre guardare la realtà e cercare di interpretarla”.

E che interpretazione dà lei oggi?
“L’interpretazione data dai numeri. E ovviamente mi limito a parlare di extravergine che rappresenta il 95% del nostro volume aziendale. Abbiamo una produzione mondiale calata del 30% a fronte di consumi scesi del 20%. C’è un 10% in meno tra offerta e domanda che si tradurrà in ulteriori aumenti”.

Fino a che punto?
“Si tratta di capire la reazione dei consumatori quando il prezzo supererà la soglia psicologica dei 10 euro. Cosa accadrà a quel punto? L’olio continuerà ad essere acquistato sia pur con un ridotto consumo, oppure sarà sostituito ad esempio con l’olio di girasole che è il più economico al mondo? Oggi, non dimentichiamolo, il consumatore vede solo il prezzo che trova a scaffale e, per quanto i rincari siano stati significativi, non hanno ancora raggiunto i livelli di quanto l’olio di oliva effettivamente è aumentato. Solo il buyer si rende conto del prezzo odierno che, nella grande distribuzione, lo si ritroverà fra tre mesi in Italia, fra sei in Germania, fra nove negli Stati Uniti”.

Dunque, che scenario prefigura?
“Adesso è impossibile dare risposte e fare previsioni, dovremo aspettare marzo quando la campagna olearia potrà considerarsi conclusa nel bacino del Mediterraneo. Di certo l’aumento dei prezzi ha come conseguenza una riduzione dei consumi e nell’olio di oliva la legge domanda-offerta funziona molto bene. Ma attenzione, con un rapporto non perfettamente equilibrato: nel senso che, come abbiamo registrato in questo anno, ad un prezzo dell’olio praticamente raddoppiato, i consumi non si sono dimezzati, bensì ridotti di un quarto”.

Per il mercato italiano cosa significa?
“Che non si sta perdendo la numerica dei consumatori, ma dei volumi. Poi, certo, a parità di prezzo o comunque con piccoli margini di differenza, i consumatori si indirizzano oggi sui prodotti di marca piuttosto che sui private label, e ovviamente scegliendo il 100% italiano visto che il prezzo è lo stesso di un comunitario”.

Con una campagna nazionale attesa sulle 280 mila tonnellate e scorte praticamente esaurite, dove trovare altro extravergine, tra l’altro al netto di quello che sarà esportato, per rispondere ad una domanda che in Italia sarà quantomeno superiore a 400 mila tonnellate?
“Questo è il vero problema: ad oggi nessun paese è autosufficiente, neanche la Spagna. Senza contare che c’è chi ha chiuso le frontiere per soddisfare la domanda interna come la Turchia e il Marocco e chi non riesce a raccogliere olive né a produrre più olio per conflitti e vicende geopolitiche come in diverse zone del Medio Oriente. Ad oggi i mercati dell’import, e ricordiamo che l’Italia è il primo importatore al mondo, potranno essere Portogallo e Tunisia che hanno produzioni buone. Ma non escludo che si guarderà anche fuori dal bacino del Mediterraneo: Australia, Argentina e Sud Africa arrivano insieme a 350 mila tonnellate di olio”.

Con un Ministero dell’Agricoltura che fa della “Sovranità Alimentare” un proprio must, cosa suggerirebbe in Italia?
“Dare suggerimenti non è facile. In Italia continuano ad essere più gli oliveti che si perdono, rispetto a quelli di nuova realizzazione. Noi stessi abbiamo impiantato 750 ettari di oliveti negli ultimi anni, ma sono una goccia nel mare. Piantare nuovi oliveti non è facile: ci vogliono il terreno giusto, l’acqua, la zona paesaggistica ideona. E teniamo presente che un intensivo con varietà italiane entra in produzione non prima di 5 anni. Ecco perché, continueremo a vivere di variabili, guardando il clima, le produzioni, i prezzi. Di certo dovremo, d’ora in avanti, cominciare a dare maggiore peso agli aspetti psicologici del mercato!”

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Tags: Farchioni, in evidenza

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