Luigi Caricato: “Ecco perché è sbagliato demonizzare i superintensivi”

Il direttore di Olio Officina critica la scelta di Slow Food di escludere dalla guida le aziende che non adottano gli impianti tradizionali
Economia
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Superintensivi sì o no? È una domanda ricorrente nel settore olivicolo-oleario che oggettivamente divide. C’è chi difende strenuamente l’olivicoltura tradizionale, la ricca biodiversità italiana, il paesaggio e chi ritiene, viceversa, che un’impresa, in quanto tale, se vuole investire sull’olio non può prescindere da un piano aziendale che tenga conto di produttività, sostenibilità economica e mercati. Sullo sfondo due premesse: sul piano della qualità dell’olio extravergine, in entrambi i casi vi sono numerose, documentate e pluripremiate eccellenze; sul piano della produzione, assistiamo a zone collinari con un sempre maggior numero di oliveti abbandonati (si stima, per difetto, 200 mila ettari ed altrettanti a rischio abbandono, fonte Italia Olivicola) e pianure con distese di filari di olivi che ricordano tanto i vigneti.

In questo contesto, interessante è la riflessione di Luigi Caricato, scrittore ed editore di Olio Officina, personalità di riconosciuta autorevolezza, di fonte alla scelta di Slow Food Italia di escludere dalla propria Guida agli Extravergini 2025 gli oli prodotti con olive di impianti superintensivi dal proprio concorso.

La posizione di Slow Food Italia

Barbara Nappini

Le motivazioni della presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini, sono chiare: “Le nostre guide non si limitano a valutare la bontà di un prodotto, ma a valorizzare il lavoro che ci sta dietro, le storie delle persone, il rispetto per l’ambiente e il sociale. Con le nostre pubblicazioni vogliamo dare messaggi chiari e utili: a valle, certo, segnalano prodotti e materie prime di qualità, ma a monte creano sistemi locali del cibo, con ricadute positive sul piano economico, sociale, ambientale e paesaggistico. Il sistema di oliveto superintensivo sta proponendo un approccio altamente tecnologico e produttivistico alla coltivazione degli olivi che non tiene in considerazione questa cornice sistemica. È necessario sensibilizzare i produttori sui rischi di questo sistema con motivazioni concrete, come ad esempio la scelta di non inserire in Guida gli oli da impianti superintensivi a partire da quest’anno”.

Le obiezioni di Luigi Caricato

Luigi Caricato

La riflessione di Luigi Caricato è altrettanto chiara: “Inquieta moltissimo l’idea di una scelta così azzardata, repressiva e antistorica. L’olivicoltura non è mai stata una, ma plurale e molteplice nei suoi modi di manifestarsi. Tutte le olivicolture, siano esse tradizionali o moderne, sono necessarie, e le scelte agronomiche e gestionali si decidono in base alle varie circostanze e ai contesti in cui si opera. Che senso ha opporsi alla diversità?

Una realtà associativa che seguo con grande attenzione e rispetto, e che reputo una risorsa importante e significativa per il Paese, non può lasciare soli e abbandonati a se stessi tutti quegli olivicoltori – pochi, purtroppo – che in un’Italia immobile da ben oltre quattro decenni, con le sole personali risorse di cui dispongono – poche, e senza nemmeno l’apporto morale delle istituzioni – stanno tentando in qualche modo di modernizzare un settore vetusto, quello olivicolo, pesantemente arretrato e ormai sfinito per mancanza di visione e progettualità.

L’alto tasso di abbandono degli oliveti è il segnale che in tanti decenni nessuno ha ancora colto in tutta la sua gravità. Il fatto che una olivicoltura arretrata non sia più in grado come tale di garantire la necessaria sostenibilità economica deve far riflettere e spingere ad agire di conseguenza.  

Nata sotto i migliori auspici, sempre aperta all’inclusione (almeno, così sembrerebbe), vedere oggi questa stessa associazione escludere, rifiutare, ghettizzare e perfino criminalizzare i pochi coraggiosi agricoltori che stanno tentando di risollevare le sorti di una olivicoltura ormai alle corde, mi sembra non soltanto grave in sé, ma addirittura antistorico.

Un oliveto superintensivo in Italia

L’Italia olivicola sta progressivamente scomparendo dai radar internazionali. Non consentire al Paese di tentare nuovi approcci e risollevarsi dall’inarrestabile declino, pur senza escludere la propria storia, la propria identità, mi sembra un atteggiamento – permettetemi di dirlo – puerile ma nel contempo anche offensivo e discriminatorio.

Che senso ha opporre un netto rifiuto a chi pratica in Italia l’olivicoltura ad alta densità? In un contesto internazionale che vede protagonisti vincenti ormai tanti Paesi emergenti, desiderosi di rendere i propri campi coltivati a olivo un modello di innovazione in linea con i tempi e le opportunità che la tecnologia offre, che senso ha penalizzare i pochi volenterosi che hanno il coraggio di investire e crederci? Qualità, biodiversità e sostenibilità si possono declinare in tanti modi.

L’olivicoltura ad alta densità non è nemica dei valori in cui crede Slow Food, ma è un modo differente di giungere e coltivare gli stessi valori. Trattare con disprezzo gli olivicoltori non in linea con una visione nostalgica, passatista, retrograda, antistorica e antiscientifica dell’agricoltura non è un buon segnale. Questo atteggiamento non inclusivo e discriminatorio non apporta nulla di buono, sottrae semmai opportunità, intelligenza, risorse, economia, socialità, rispetto delle persone delle loro identità.

L’alta densità degli impianti olivetati consente agli stessi olivicoltori di destinare le necessarie risorse per ripristinare oliveti tradizionali abbandonati, salvaguardare posti di lavoro, avvicinare ai lavori di campagna persone che fuggono l’agricoltura perché antieconomica. Tanta olivicoltura estrema, d’alta quota, eroica, può essere salvata dalle risorse provenienti da una olivicoltura più moderna e redditizia. Perché, sì, guadagnare dal proprio lavoro è cosa lecita e giusta. Non occorre vergognarsi di poter ricavare il giusto reddito praticando una olivicoltura che guarda al futuro, tanto più che le risorse ben distribuite rendono possibili le coltivazioni più svantaggiate.

Perché ignorare la bellezza della diversità? Perché penalizzare persone serie e oneste che lavorano e credono fortemente in ciò che fanno? Non umiliate chi lavora e investe per pura ideologia. Il mondo è bello perché vario. Siate inclusivi, non belligeranti”.

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Tags: Barbara Nappini, in evidenza, Luigi Caricato, Olio Officina, Slow Food, superintensivi

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