Maurizio Servili: “A chi giovano le inchieste sull’extravergine?”

Invece di cercare l'ennesimo scandalo, opportuno concentrarsi sulla soluzione del problema
Economia
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“Bene le inchieste sull’olio di oliva, ma bisognerebbe almeno fare, visto che sono tante e spesso comprendono gli stessi marchi, un ranking tra le aziende confezionatrici le cui bottiglie rispettano regolarmente i parametri dell’extravergine e quelle che vengono bocciate perché i loro oli non hanno più le caratteristiche indicate in etichetta. Ciò detto – non è poi questo il problema – una cosa è certa: continuando a puntare l’attenzione sulla conformità o meno degli extravergini a scaffale, senza cercare delle soluzioni che evitino o circoscrivano di molto il problema, alla lunga non si fa il bene del settore. Siccome poi l’olio extravergine di oliva costa sempre di più, date le basse produzioni mondiali, e sui social vengono rilanciate in maniera superficiale le notizie di queste inchieste, lasciando passare il messaggio che l’olio extravergine di oliva non è neanche buono, c’è il rischio che il consumatore, alla fine, vada a puntare sull’olio di semi”.

Una provocazione che racchiude in sé tanta saggezza quella del prof. Maurizio Servili (nella foto), docente di scienze e tecnologie alimentari all’Università di Perugia, rilanciata in occasione della tornata dell’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio a Casoli (Ch). Lo spunto è giunto al termine di una riflessione sugli effetti della luce nell’olio di oliva e sul fatto che negli scaffali della grande distribuzione le bottiglie di vetro – sia di chiaro che verde più o meno scuro, a differenza di quelle verniciate – dopo 180 giorni vedono l’olio contenuto al loro interno diventare rancido, oltre a superare i limiti legali per il K270, con una perdita, ad un anno di vita di scaffale, del 65% di fenoli e anche un crollo di aromi responsabili del fruttato.

Le non conformità riscontrate della varie indagini giornalistiche ed ampiamente confermate dai dati dei controlli ufficiali sono principalmente legate la fatto che, per mantenere i margini di profitto e rispettare le indicazioni di prezzo basso della grande distribuzione – per la quale ancora troppo spesso l’olio extravergine di oliva continua a rappresentare un prodotto civetta – accade che alcune aziende, per ridurre i costi, miscelino l’extravergine con il vergine, così che il primo copra momentaneamente i difetti del secondo, almeno nelle prime fasi di vita allo scaffale degli oli. Servili ha spiegato come proprio la fotossidazione a scaffale sia una delle cause che fa perdere progressivamente all’extravergine il suo effetto “schermante” sui difetti, presenti nel vergine, a causa della progressiva riduzione dei composti volatili, responsabili del fruttato, riduzione che farà emergere, dopo un certo periodo di esposizione allo scaffale, i difetti preesistenti, ma mascherati dal fruttato dell’extra.

“La soluzione – ha aggiunto – potrebbe essere quella di reintrodurre la categoria commerciale del vergine, come olio confezionato, in modo da fare chiarezza tra ciò che è realmente un olio extravergine di oliva e quello che lo è solo in apparenza. La categoria del vergine, presente in altri paesi produttori allo scaffale in modo significativo, in Italia è inesistente e rappresenta una ulteriore fonte di disagio per consumatori ed aziende in quanto dietro la stessa denominazione “olio extravergine di oliva” vengono confezionati oli di qualità completamente diversa e nessuna informazione viene fornita al consumatore per capirne le differenze. Oppure si potrebbe tornare a parlare di un vecchio sogno mio e di altri, e con altri intendo alcuni produttori e confezionatori, che è quello di introdurre per gli oli extravergini migliori la definizione “alta qualità” allo scopo di favorire la scelta al consumo all’interno della babele degli extravergini. Quindi più che parlare dell’ennesimo scandalo, dovremmo puntare l’attenzione sulle soluzioni del problema.
Stiamo bene attenti – ha concluso Servili – e domandiamoci anche: perché queste inchieste vengono fatte solo sull’olio di oliva e mai, che so, su quello di semi? Qui, se non si fornisce una informazione puntuale e completa, si rischia davvero di colpevolizzare l’intero settore olivicolo-oleario. E a rimetterci saranno tutti, a partire proprio dalla stragrande maggioranza di produttori seri e scrupolosi”.

 

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