Olio di oliva, Turchia tra grandi produzioni e sfide strutturali

Conosciamo meglio un paese che è diventato lo scorso anno il secondo produttore mondiale di olio, ma che si trova ad affrontare enormi problematiche che ne frenano sviluppo e competitività
Economia
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di Selin Ertur, Francesca Gambin e Roberta Ruggeri

La Turchia, nel cuore del Mediterraneo orientale, si sta posizionando come uno dei protagonisti mondiali della produzione di olio d’oliva. Con la campagna 20224/2025 che ha raggiunto le 475.000 tonnellate, il Paese ha raggiunto un traguardo storico, posizionandosi tra i principali attori del settore oleario mondiale.

Frutto di una tradizione millenaria e di una regione straordinariamente dedita all’olivicoltura, questo risultato rappresenta un motivo di orgoglio per centinaia di migliaia di produttori locali.

Dietro queste cifre, tuttavia, ci sono sfide strutturali, economiche e normative che rischiano di ostacolare la crescita e il potenziale di sviluppo del prodotto turco.

La Turchia è la patria dell’olivo, una terra generosa dove è parte integrante del paesaggio e della cultura. Le varietà autoctone come Ayvalık-Edremit, Memecik, Gemlik e Domat sono apprezzate per la loro resistenza, i profili aromatici e la capacità di adattarsi a climi diversi.

Mustafa Tan, presidente del Consiglio nazionale dell’olio d’oliva, riferisce che “questa importante produzione e gli oli d’oliva che ne derivano sono di altissima qualità, ma – sottolinea – questa eccellenza non sempre riesce a tradursi in valore economico, soprattutto sui mercati internazionali”.

Uno dei principali ostacoli è rappresentato dalla situazione economica interna. Un’inflazione che ha raggiunto il 35% nel 2025 e tassi di interesse del 50% rendono estremamente difficile l’accesso al credito per i produttori.

La debolezza della lira turca (oggi ce ne vogliono 47 per un euro) ha un forte impatto sui costi di produzione, sull’acquisto di materiali e sulle esportazioni.

In questo contesto, modernizzare un frantoio, acquistare bottiglie, etichette o macchinari diventa un’impresa ardua, soprattutto per i piccoli produttori.

La ripresa economica legata alla ricostruzione post-terremoto ha avuto effetti limitati sull’agricoltura, che continua a soffrire di una cronica mancanza di investimenti strutturali.

Per proteggere il mercato interno e contenere l’inflazione alimentare, nella stagione 2023/2024 è stata introdotta una restrizione all’esportazione di 14 mesi, che imponeva la vendita solo in lattine e bottiglie confezionate, revocata nel 2024/2025 in risposta alle forti richieste del settore. Revoca che ha messo in condizione di aumentare nuovamente la competitività del prodotto turco, soprattutto nei mercati in cui l’olio sfuso è preferito per ragioni di prezzo e flessibilità.

Del resto, paesi come la Spagna e la Grecia sono stati in grado di vendere grandi volumi di olio sfuso a prezzi inferiori, guadagnando quote di mercato che la Turchia non ha potuto raggiungere a causa delle restrizioni normative.  Di conseguenza, nonostante la qualità del prodotto, l’olio turco fatica a imporsi a livello internazionale. I prezzi medi dell’olio turco si aggirano tra le 180 e le 200 lire al chilo, con una media di circa 190 (4 euro).

Un prezzo di produzione, questo, attraverso il quale la Turchia è in grado di rientrare in molti dei mercati che ha temporaneamente perso a causa dell’abolizione delle restrizioni all’esportazione di olio d’oliva sfuso. Ciò evidenzia la necessità di una strategia nazionale lungimirante.

Sono necessarie riforme mirate per sfruttare davvero il potenziale dell’olio turco.

In primo luogo, è forse necessario rivedere i controlli sulla qualità e sulla tracciabilità e le sovvenzioni per le esportazioni di olio confezionato, oltre a mantenere le norme sulle esportazioni che consentono almeno in parte la vendita di olio sfuso.

In secondo luogo, è fondamentale investire in certificati Dop e Igp che permettano di legare il prodotto al territorio e definirne l’identità. La narrazione è in realtà uno degli elementi più mancanti per la Turchia, che produce olio di qualità, ma non riesce a comunicarlo in modo efficace.

Manca un forte branding regionale che possa trasmettere la cultura, la storia e la passione che c’è dietro ogni bottiglia.

Un altro punto importante è il sostegno ai produttori che rappresentano il cuore pulsante dell’olivicoltura turca, ma che hanno un accesso limitato a un credito sufficiente e a basso costo, e che dovrebbero avere incentivi a livello di Unione Europea per la sostenibilità e l’innovazione, in modo da mantenere intatti questi produttori tradizionali.

Eppure sono proprio questi produttori a preservare le varietà locali, a mantenere vive le tecniche tradizionali e a garantire la qualità del prodotto. Aiutarli significa preservare un patrimonio culturale e agricolo di enorme valore.

Nonostante le sfide, l’interesse internazionale per l’olio turco sta crescendo. Gli acquirenti stranieri vogliono sempre più informazioni, dati, analisi, vogliono capire, vogliono sapere, e l’olio d’oliva turco ha tutte le carte in regola per diventare protagonista del mercato globale. Per farlo, deve superare gli ostacoli normativi, rafforzare la sua immagine e investire nella narrazione della regione; solo così potrà trasformare la sua eccellenza agricola in un valore economico e culturale riconosciuto a livello internazionale.

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Tags: in evidenza, olio di oliva, olio extravergine di oliva, Turchia

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