Servili: “In Italia condannati a fare un olio di oliva di qualità!”

"Non rincorrere la produzione, puntare piuttosto a stabilizzarla"
Economia
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“Siamo condannati a fare un olio di qualità!” Maurzio Servili, punto di riferimento della ricerca internazionale nel settore olivicolo-oleario, non ha dubbi su quale sia la strada per l’Italia dell’olio di oliva. E di fronte alla nutritissima platea di frantoiani ed operatori del settore che hanno partecipato all’iniziativa della Pieralisi al Crea di Rende, è esplicito: “Metterci a competere sul piano della produzione è una battaglia persa. Non dobbiamo guardare alla Spagna o alla Tunisia che sta avviando la coltivazione dell’olivo nel deserto. Ed anche se abbracciassimo l’idea dei superintensivi per aumentare la quantità, dobbiamo essere consapevoli di un fatto:  sarebbe una soluzione non solo che ci farebbe perdere di vista il patrimonio della biodiversità dell’olivicoltura italiana, ma che non porterebbe neanche benefici competitivi nella riduzione dei costi di produzione rispetto agli altri paesi dell’area mediterranea, perché tanto quelli italiani resteranno comunque sempre superiori”.

Stabilizzare la produzione

Maurizio Servili

Dunque? Dunque, per Servili il nuovo Piano Olivicolo Nazionale deve lasciar perdere l’ambizione di puntare su un forte aumento della produzione: non serve, a suo parere, tendere alle 600 mila tonnellate come qualcuno ritiene debba essere l’obiettivo italiano.  Occorrerebbe privilegiare invece politiche agronomiche che consentano la stabilizzazione della produzione stessa, superando l’alternanza che è una caratteristica tutta italiana. “Non è pensabile – ha detto il ricercatore – che un anno l’Italia produca 320 mila tonnellate di olio e quello dopo 140! Si deve puntare ad una costanza produttiva. E su quella costanza lavorare per un olio di qualità”.

Il modello dell’età romana

La slide che Servili mostra per spiegare che quello dell’olio di qualità è un obiettivo che fa parte della storia del nostro Paese riprende la classificazione commerciale degli oli di oliva in epoca romana, con cinque categorie:
oleum ex albis ulivi: ottenuto dalla spremitura di olive verdi;
oleum maturum: realizzato con olive mature;
oleum viride: ricavato da olive in avanzato stato di maturazione;
oleum caducum: ottenuto dalle olive cadute a terra;
oleum cibarium: ricavato da olive passite,
evidenziando che solo i primi due erano quelli destinati ai patrizi.

Differenziare l’extravergine

Di qui la provocazione: “Dobbiamo pensare a differenziare l’extravergine”. Non è possibile, secondo Servili, che in questa categoria siano ricondotti oli che presentano, l’uno rispetto all’altro, parametri a volte completamente diversi, come nel caso di acido oleico o vitamina E, tanto per citare due esempi. Come differenziarlo? “Lasciamo perdere Dop, Igp e le certificazioni di oggi, per fare un discorso più generale. Dal lontano 2012 era stato pensato ad un olio extravergine di oliva di alta qualità ed era stato anche realizzato il disciplinare di produzione. Che fine ha fatto? Nessuno lo sa. O almeno, io ho le mie sensazioni. Ma un ricercatore lavora sui dati e non sulle sensazioni, dunque non ho prove certe”.

E i dati, sul tema della qualità dell’olio di oliva, per Servili sono quelli legati ai polifenoli, la vera differenziazione salutistica. “Perché sono una infinità i prodotti che contengono i polifenoli – ha ricordato il relatore – ma solo quelli dell’olio extravergine di oliva sono bioattivi, cioè vengono assorbiti dall’intestino, passano nel sangue, arrivano al fegato e fanno così bene all’organismo umano”. Quanti polifenoli? “Quando siamo intorno ai 400, 500 o 600 mg/Kg siamo su valori di qualità elevata”. Dunque, superiori ai 250 mg/Kg stabiliti dall’Efsa per l’effetto benefico, senza necessità di arrivare a valori superiori ai 1000 mg/Kg che pure certe varietà olivicole sono in grado di esprimere.

“E quando si parla di sostenibilità – ha concluso Servili – ricordiamoci bene che essa va misurata in un contesto complessivo: gli effetti salutistici dell’olio extravergine di oliva hanno un impatto ambientale enorme perché connesso ad una riduzione della spesa sanitaria e di conseguenza degli impatti che la stessa genera sotto ogni punto di vista”.

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Tags: Calabria, in evidenza, Maurizio Servili, Pieralisi

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