“Cosa capisce un consumatore medio guardando lo scaffale dell’olio?” È la domanda che si pone la professoressa Maria Lisa Clodoveo, docente all’Università di Bari, presente in molti organismi legati al mondo dell’olio nonché divulgatrice scientifica con una consolidata esperienza in materia di salute correlata al consumo di olio extravergine di oliva.
Una domanda postata sotto foto di etichette di prezzi di una nota catena di supermercati dove l’olio di oliva, vale a dire l’olio ottenuto con un processo di raffinazione mediante solventi chimici, non solo è collocato nel ripiano dello scaffale accanto all’olio extravergine di oliva, ma ad un prezzo di pochi centesimi di differenza tanto da indurre il consumatore inconsapevole della differenza a preferire l’uno piuttosto che l’altro. Non solo, appaiati insieme vi sono poi un extravergine prodotto con una miscela di oli di olive di provenienza europea ed uno 100% italiano. La differenza in questo caso? Appena 26 centesimi.
“Il prezzo dell’olio – spiega la docente – può fungere da potente indicatore della percezione di qualità. I consumatori tendono ad associare prezzi più alti a una migliore qualità, supponendo che un prezzo più elevato rifletta un miglior processo o materie prime superiori. E dunque, scartando gli spiccioli: olio raffinato, extra non italiano e extra italiano valgono 10 euro? Come fa il consumatore a capire che differenza c’è tra un prodotto estratto esclusivamente con mezzi meccanici e un prodotto che ha subito trattamenti chimici? Che valore diamo alle aziende italiane, alla ricchezza in biodiversità e a un sistema di controlli più rigido che nel resto d’Europa?”
Eppure, fa notare la Clodoveo, è scritto a caratteri cubitali “Olio di Oliva”. Ma quanti conoscono la differenza tra “olio di oliva” e “olio extravergine di oliva”? Davvero in pochi. Con l’aggiunta, evidenzia la docente “che il tempo medio di scelta di un prodotto a scaffale è 23 secondi e ogni categoria di alimento richiederebbe conoscenza e competenza… Una aspettativa impossibile per un cittadino medio: medio reddito, medio livello di istruzione, media consapevolezza nutrizionale, media capacità di leggere le etichette e convertirle in criteri di scelta”.
Chi ci guadagna in questo beffardo gioco dei prezzi? Certamente non olivicoltori e frantoiani italiani! Né la salute dei consumatori, tenuto conto dei benefici che l’extravergine assicura all’organismo umano nella prevenzione di malattie neurodegenerative, oncologiche, cardiache e altro ancora.
“Il 75% dell’olio olio extravergine d’oliva (italiano o estero) venduto in Italia – è l’amara conclusione della Clodoveo – è commercializzato dalla GDO. Sono centinaia di migliaia di tonnellate di olio che entrano nelle case esclusivamente attraverso la grande distribuzione: dove e quando si fa o si può fare educazione alimentare o cultura di prodotto?”