Tirata per la giacchetta da più parti di fronte alla fantasmagorica bufala delle tonnellate di olio greco pronto ad essere trasformato in italiano, la Guardia di Finanza di Bari ha diffuso un comunicato di raffinato garbo istituzionale. Con esso ha evitato di replicare a chi ha adombrato il sospetto che cisterne di olio gli fossero passate sotto il naso come i cuccioli di dalmata sotto quello di Crudelia De Mon!
E, di fronte a chi metteva in dubbio l’efficacia della propria azione, ha anche evitato di invitare ad avere maggiore rispetto di uomini e donne in divisa che si fanno un mazzo così per combattere l’illegalità come i risultati anche recenti dei loro colleghi hanno dimostrato.
Più sommessamente hanno osservato che i controlli, come sempre, sono stati scrupolosamente eseguiti, che quell’olio aveva le carte in regola e che non era destinato ad un improbabile frantoiano mascherato da mercante in fiera, ma più semplicemente all’industria dei confezionatori oleari. Che saranno pure la peggiore specie del mondo, come qualcuno giura che siano, ma che oggettivamente rispondono alle logiche del mercato. Ed il mercato è chiarissimo nei suoi numeri: ogni anno produciamo in Italia – quando va bene – appena 300 mila tonnellate di olio, ne consumiamo 500 mila tonnellate e ne esportiamo 400 mila. Da qualche parte, dunque, l’olio andrà pure importato!
Se poi il 70% dei consumatori italiani sceglie l’olio in base al prezzo al supermercato, noncuranti dell’etichetta che indica se è 100% italiano, comunitario o extra Ue, questo è un problema culturale che non si affronta con il sensazionalismo.
Non c’era bisogno di Einstein, né del suo sosia Gigi all’Eurospin – tanto per restare in tema di Gdo – per capire che eravamo in presenza di una “panzana” bella e buona!
Ma ora che finalmente gli organi di controllo – la Guardia di Finanza e con essa la Capitaneria di Porto e la Repressione Frodi – hanno smontato qualsiasi cospirazione, sarebbe opportuno che questa occasione si trasformasse in opportunità per la filiera olivicola-olearia nazionale.
Una opportunità che rinsaldasse in maniera concreta tutti gli anelli della filiera, a cui il patto sottoscritto proprio in Puglia ambisce. Perché siamo alla vigilia di un tavolo olivicolo nazionale assolutamente fondamentale. Dove si deve arrivare consapevoli che gli olivicoltori si sono visti finalmente riconoscere in questi ultimi due anni il giusto prezzo per il loro lavoro e non si può certo tornare indietro, specialmente a fronte di cambiamenti climatici che rendono sempre incerta la produzione di olive.
Stessa consapevolezza si deve avere verso i frantoiani che hanno dimostrato ancora una volta di credere fortemente nel settore, come confermato dalle elevatissime adesioni al bando per l’ammodernamento degli impianti. Sia che siano frantoiani artigianali come i mastri oleari che trasformano l’olio confezionandolo con etichetta propria, sia che siano frantoiani che moliscono per la vendita di olio italiano a cisterne, sia che siano frantoiani conto terzi che erogano servizio agli olivicoltori, siamo in presenza di una categoria fondamentale, dove i modelli di business, ancorché differenti, sono orientati a valorizzare non solo il prodotto olio, ma tutto quello che ad esso ruota attorno.
E consapevolezza per consapevolezza, va accettato che l‘industria olearia risponda a proprie logiche commerciali, facendo parte a pieno titolo di questo sistema, con una quota più estera che nazionale di prodotto confezionato, ma comunque strumento fondamentale per ampliare il consumo di olio extravergine di oliva rispetto ad altri grassi.
Se questa unità viene meno, se manca il reciproco rispetto e si è pronti a cercare sempre un nemico per legittimare i propri interessi, si corre il rischio di danneggiare l’intero sistema. Demolendo le aspettative per un tavolo olivicolo nazionale dove invece la promozione e la valorizzazione dell’olio italiano – con la sua incomparabile biodiversità e le sue straordinarie proprietà nutrizionali e salutistiche – devono essere l’elemento centrale condiviso da tutti.