Frodi commerciali: il caso dell’olio di oliva

Una truffa che, paradossalmente, avvantaggia il consumatore ma produce gravissimi danni al settore. Ecco perché, oltre ai controlli tecnici e doganali, serve ripensare una nuova etica economica della filiera olivicola oleari
Economia
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Nel vasto e complesso panorama oleario internazionale, le frodi non si manifestano sempre come adulterazioni o minacce alla salute pubblica. Esistono trame più sottili, meno appariscenti, che si consumano nei meandri dei rapporti contrattuali e delle triangolazioni finanziarie. Non è in discussione la qualità dell’olio né la sua tracciabilità, i registri telematici funzionano, le dogane, gli organi di polizia vigilano e i controlli sanitari sono attivi, eppure, qualcosa sfugge.

La truffa non è nel prodotto, ma nel pagamento, non è nella bottiglia, ma nel contratto.
Ci troviamo di fronte a frodi commerciali di natura finanziaria, dove i produttori non sono remunerati per le forniture effettuate, mentre i flussi economici si dissolvono in una rete di opacità. È una dinamica che si consuma tra soggetti privati, in spazi giuridici complessi e frammentati, dove i tempi d’intervento sono lunghi e le responsabilità si diluiscono.

Non c’è violazione alimentare, non c’è rischio per il consumatore, ma c’è una ferita aperta nella filiera, una frattura di fiducia che tocca il cuore stesso dell’economia olivicola e, più in generale, di quella agricola.

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Sebbene i dati precisi non siano conosciuti, i volumi e i valori in gioco sono importanti se, come talvolta accade, l’olio acquistato e non pagato è poi rivenduto a prezzi inferiori di mercato. Si apre così una riflessione inattesa, il consumatore finale può aver beneficiato di un prodotto di qualità a un prezzo più basso, mentre il produttore ha perso margini, talvolta senza ricevere alcun pagamento.
Si genera così una redistribuzione paradossale della ricchezza, ciò che è stato sottratto a monte si è, in parte, riversato a valle, calmierando i prezzi al consumo. È una visione scomoda, ma realistica.

La frode, pur essendo dannosa, produce effetti collaterali che meritano analisi, illeciti che alterano la distribuzione del valore, ma non la qualità del prodotto. Prezzi che riflettono non la reale efficienza del mercato, ma le distorsioni generate da operazioni opache.

In questa prospettiva sistemica, gli attori della filiera subiscono impatti differenti, il produttore perde liquidità, il broker guadagna illecitamente, ma si espone al discredito, il consumatore gode inconsapevolmente di un vantaggio economico, mentre lo Stato resta privo di strumenti efficaci per perseguire una frode che non viola le norme alimentari.

Questo lascia nel mercato dell’olio d’oliva rilevanti tracce, che non è nel gusto del prodotto ma nel suo valore. Se una parte di quella ricchezza è “scivolata” verso il consumatore, è solo perché il sistema non ha saputo proteggerla là dove nasce, ossia tra le mani del produttore olivicolo o agricoltore. Occorre allora ripensare non solo ai controlli tecnici e doganali ma, anche, a una nuova etica economica della filiera, capace di tutelare la dignità del lavoro agricolo e la trasparenza del mercato.

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Tags: frode olio, in evidenza, olio di oliva

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