Anche nell’olio extravergine di oliva debutta ufficialmente l’etichetta “residuo zero”. È Costa d’Oro – tra le aziende leader in Italia nella produzione di olio di oliva – a lanciarlo con lo slogan “Uno Zero che vale oro!”, annunciando con soddisfazione di essere la prima in assoluto ad aver portato sul mercato nazionale un olio certificato Zero Pesticidi Residui.
Ormai diffusi in molti settori dell’alimentare – ortofrutta in particolare – i prodotti a “residuo zero” colpiscono l’immaginario del consumatore con un messaggio forte e chiaro. E dunque non vi erano dubbi che prima o poi avrebbero fatto il loro ingresso in un settore, quello olivicolo, che non poteva rimanere indenne,
Ma cosa si intende per “zero pesticidi residui”? E che differenza c’è tra un olio a residuo zero ed un olio biologico?
Il prof. Luca Sebastiani, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, coinvolto da Costa d’Oro nell’iniziativa Planet O-live – un piano strategico e operativo per la valorizzazione di una filiera dell’olio produttiva e sostenibile (nella foto) – da cui nasce anche l’olio Zero, ha così spiegato la differenza: “Un prodotto a Zero Pesticidi Residui prevede una serie di analisi approfondite e certificate che garantiscono la massima sicurezza sulle contaminazioni accidentali che possono provenire banalmente dall’acqua di irrigazione o essere trasportate dal vento. In buona sostanza non è il processo a garantire il prodotto, ma solo l’analisi delle molecole che sono contenute in quel prodotto può garantirne la sicurezza”.
Per il nuovo Costa d’Oro “ZERO” l’azienda ha previsto una specifica certificazione che consente di individuare l’eventuale presenza di oltre 260 tipologie di fitofarmaci. Solo l’olio in cui queste molecole sono al di sotto della soglia di quantificazione analitica di 0,01 mg/kg (cosiddetto Zero Tecnico) ottiene in etichetta il marchio Zero Pesticidi Residui. Ciò significa che i fitofarmaci consentiti dalla legge per proteggere le piante nella fase di coltivazione non sono più presenti nel prodotto finito, per uno standard di eccellenza superiore in termini di qualità e sicurezza.
Una lettura più approfondita del “residuo zero” l’ha fornita qualche tempo fa sulla testata “Il fatto alimentare”, Roberto Pinton, tra i più autorevoli esperti di produzioni biologiche. “Diversamente dal biologico, il ‘residuo zero’ è un claim non disciplinato da normative nazionali o europee. Il riferimento è quindi a standard privati che, generalmente, determinano come soglia di presenza di sostanze chimiche di sintesi il limite di rilevabilità. Si tratta comunque di una dichiarazione certificata da organismi accreditati che attesta la conformità del prodotto allo standard di riferimento”. Insomma, la differenza principale tra biologico e residuo zero è chiara. “Se un prodotto non ha residui al momento della vendita – spiega Pinton – non significa che non abbia utilizzato fitofarmaci in tutto il suo processo produttivo, ma solamente che questi non sono stati utilizzati nell’ultima fase della produzione e che quelli utilizzati avevano dei tempi di decadimento tali da non residuare sul prodotto. In sostanza, se la preoccupazione di chi acquista un alimento è esclusivamente quella di non ingerire pesticidi, la scelta del ‘residuo zero’ soddisfa pienamente le sue esigenze. Se si sceglie la produzione biologica, invece, è perché il focus è posto su questioni più ampie, come la contaminazione ambientale, la salvaguardia e l’aumento della fertilità del suolo, le rotazioni, la rinaturalizzazione degli habitat, la tutela della biodiversità e il benessere animale. Si tratta insomma di una tecnica agronomica che fornisce alla collettività dei ‘beni pubblici’. Nella produzione biologica c’è la garanzia del non uso dei prodotti chimici di sintesi durante l’intero ciclo produttivo, data in un quadro di controlli pubblico; nel residuo zero c’è la garanzia dell’assenza nel prodotto al momento del consumo”.
Ciò non significa che la produzione a ‘residuo zero’ non sia tesa a una riduzione nell’impiego di fitofarmaci. Vi è qui certamente il giusto equilibrio tra buone pratiche agricole e l’uso molto limitato di prodotti fitosanitari, con la valutazione attenta del tipo di prodotto e delle tempistiche di somministrazione. Dunque, potrebbe essere una soluzione interessante per dare maggiore appeal all’olio, ma – come detto – non va confuso con l’olio biologico che percorre una propria, autonoma, precisa strada.