Ecco, di seguito, la sintesi dell’interessante intervento che il dott. Adolfo Rosati, ricercatore del CREA di Spoleto, ha tenuto al convegno organizzato dall’Oleificio Torchia a Tiriolo (Cz) sul tema “Gestione agroecologica dell’oliveto per aumentare produttività e sostenibilità”.

Circa il 45% delle terre abitabili è utilizzato per l’agricoltura, di cui l’80% è dedicato all’allevamento di bestiame. Con la crescita della popolazione mondiale serviranno più terreni per la zootecnia, ma continuare a deforestare non è auspicabile.
Una delle alternative possibili è l’integrazione della zootecnia alle colture, particolarmente quelle arboree. Infatti, gli arboreti – inclusi gli oliveti – sono perlopiù gestiti in monocoltura e anche se spesso sono inerbiti (per gli innumerevoli vantaggi come il ripristino della fertilità del suolo, l’aumento della biodiversità, la prevenzione dell’erosione, ecc.), l’erba che producono non viene utilizzata come foraggio e comporta invece un costo per la trinciatura o la distruzione.
I vantaggi
Gli animali potrebbero invece utilizzare tale fonte di foraggio senza impatto negativo sulla produzione della coltura arborea, aumentando così la produzione per ettaro, al contempo diminuendo le necessità di input esterni (sfalciature, lavorazione e concimazioni): un perfetto esempio di intensificazione ecologica.
Inoltre, dall’oliveto si ottengono anche altri foraggi, quali i materiali di potatura (1-3 tonnellate/ha, di cui la metà e consumabile da parte di ruminanti), la sansa di oliva (utilizzabile in mangimistica e con proprietà salutistiche) e le olive che cadono prima e durante la raccolta. Gli alberi inoltre forniscono ombra e protezione dagli agenti atmosferici, migliorando il benessere e quindi la produzione animale.
Le criticità
Tuttavia, sono molte le difficoltà da affrontare che frenano l’adozione dell’integrazione zootecnica in olivicoltura e arboricoltura in generale.
Queste sono legate a problemi tecnici (scelta delle specie e delle tecniche di inerbimento più appropriate per non ridurre la produzione arborea e massimizzare quella foraggera), sanitari (possibili contaminazioni di animali con pesticidi e di colture con parassiti animali), ma anche difficoltà sociali, normative e burocratiche. Basti pensare all’eco schema 2, che finanzia l’inerbimento degli arboreti solo se non vi è pascolo!
Cambiamento di paradigma
Il finanziamento andrebbe invece basato sul servizio ecosistemico che l’inerbimento fornisce, e dovrebbe quindi premiare di più che integra gli animali, risparmiando lavorazioni meccaniche che impattano sull’ambiente. Queste difficoltà andranno sempre più affrontate e risolte, perché i 150 milioni di ettari di arboricoltura nel mondo costituiscono una superficie preziosa per ottenere più produzioni animali senza ulteriore deforestazione e per aumentare la produttività dell’agricoltura, al contempo riducendo gli input esterni e quindi i costi e l’impatto ambientale.