di Manuel Parras*
Molti olivicoltori in questi giorni mi chiedono come mai il prezzo dell’olio extravergine di oliva all’origine sia di 9 euro/kg. in Italia e meno della metà in Spagna. È una bella domanda a cui cerco di rispondere con diverse ipotesi.
La prima è che l’olio extravergine di oliva italiano è molto meno di quello spagnolo. Questa ipotesi è plausibile, ma non credo che giustifichi una tale differenza. Un’altra ipotesi altrettanto plausibile è che in Spagna si punti su una strategia di leadership di costo, ovvero abbassare i prezzi riducendo i costi attraverso l’intensificazione e la superintensificazione, e in Italia si opti per una strategia di differenziazione, valorizzando gli oli extravergini di oliva attraverso una qualità eccezionale e valorizzando i beni pubblici generati dai loro uliveti, come l’identità e la coesione territoriale, la biodiversità e la rivitalizzazione rurale, il Made in Italy che gli italiani proclamano. Da essere considerato una commodity o un prodotto di prima necessità a essere considerato un prodotto di eccellenza: le due dimensioni nella mente dei consumatori spagnoli e italiani.
In Spagna stiamo facendo ben poco per cambiare questa percezione, ma gli olivicoltori con oliveti tradizionali difficili da meccanizzare e modernizzare, che sono la maggioranza, dovrebbero far sentire la propria voce e imitare il modello italiano, per non trovarsi di fronte a un futuro incerto e cupo. Non ho intenzione di essere apocalittico e proprio per questo non voglio immaginare splendidi villaggi circondati da ulivi abbandonati e pannelli solari.
Quanto appena descritto è legato al concetto di produttività nel settore dell’olio d’oliva spagnolo, dove, a mio parere, si sta mancando l’obiettivo. La produttività è il rapporto tra il valore di ciò che produciamo e il costo delle risorse che utilizziamo per ottenerlo. In Spagna il dibattito si è da tempo concentrato sulla questione chiave: la riduzione dei costi attraverso l’intensificazione della coltivazione degli olivi, come ho accennato prima. Non esiste forum specializzato in cui questo argomento non venga dibattuto o, meglio ancora, in cui non venga riconosciuto come il migliore o l’unico argomento a favore della redditività. È senza dubbio una buona strategia se si hanno oliveti con buone condizioni orografiche e risorse idriche. Credo che in Italia questo dibattito non sia così acceso perché si concentra sul numeratore, sull’offerta al mercato di prodotti ad alto valore aggiunto. Ecco perché i prezzi sono dove sono e perché i consumatori non sono così confusi dalle loro fluttuazioni.
In questo scenario, sembrano esserci solo due strategie possibili, anche queste contrastanti: ridurre i costi oppure aumentare il valore degli oli d’oliva. E non sono incompatibili. Il problema sorge quando la riduzione dei costi viene utilizzata per offrire al mercato l’olio d’oliva a prezzi bassi, non per guadagnare di più. Ed è proprio questo l’errore, perché l’ideale è offrire al mercato una qualità che ha un prezzo, ma che è costata relativamente poco produrla, e questo è possibile oggi in una parte dell’oliveto. Non è necessario scegliere necessariamente tra strategie di leadership di costo o di differenziazione; anzi, le due cose possono essere combinate.
Tornando ai prezzi dell’olio d’oliva, i prezzi attuali non sono giustificati dalla cosiddetta legge della domanda e dell’offerta, ma da altre cause legate al comportamento dell’offerta nella catena del valore del mercato dell’olio d’oliva. Cercherò di dimostrarlo attraverso un articolo pubblicato di recente, frutto di un contratto di ricerca firmato tra la Giunta provinciale di Jaén e l’Università di Jaén, che ho avuto l’onore di coordinare: “Regolamentazione dell’offerta nel mercato dell’olio d’oliva. Studio delle variabili influenzanti per proporre una norma di commercializzazione volta a migliorarne e stabilizzarne il funzionamento, ai sensi del Regio Decreto 84/2021”.
In questo articolo, l’obiettivo è analizzare le condizioni in cui dovrebbe essere applicata una norma di regolamentazione dell’offerta nel mercato dell’olio d’oliva. Nelle campagne ad alta produzione, ritirare una parte di ciò che è disponibile per aumentare i prezzi. Nelle campagne con bassa produzione, rilasciare sul mercato gli articoli immagazzinati per abbassare i prezzi. Se ben gestita, la regolamentazione apporta benefici sia ai produttori che ai consumatori, come dimostra il libro. L’argomentazione che guida il discorso della monografia è che l’intervento sul mercato è necessario quando i prezzi all’origine scendono a livelli che impediscono agli oliveti che abbiamo definito “vulnerabili” di coprire i costi di produzione.
A tal fine, il professor José Antonio Gómez-Limón, docente presso l’Università di Cordova, ha sviluppato un modello in cui i prezzi dipendono dalla quantità di olio d’oliva prodotto in Spagna, dalle scorte e da una variabile “tendenza”, che riflette l’inflazione, i cambiamenti nelle abitudini dei consumatori, ecc.
Secondo il modello, con i dati di produzione attuali (1.380.000 tonnellate) e le scorte all’inizio della campagna in corso (190.389 tonnellate), il prezzo all’origine dell’olio extravergine di oliva dovrebbe attestarsi intorno ai 5,86 €/kg. Poiché non è così, significa che ci sono altre variabili o comportamenti che determinano un calo eccessivo dei prezzi e che, a mio avviso, hanno a che fare con il comportamento dei fornitori: atomizzazione, concentrazione negli imballaggi, ecc. Anche questa questione richiede uno studio rigoroso.
La domanda è: se i dati delle ultime due campagne di bassa produzione hanno mostrato una fedeltà dei consumatori spagnoli fino a 6 euro/litro, perché insistiamo nell’abbassare i prezzi in Spagna, mettendo a repentaglio la redditività di gran parte degli oliveti spagnoli? Una risposta rapida è che abbiamo una catena del valore molto inefficiente, con perdite o addirittura margini ridotti. Devono avere le allucinazioni in Italia.