Perché è utile a chi produce olio la valutazione organolettica

Speciali
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di

Alfredo Marasciulo

Capo Panel

Come ogni anno, all’inizio della nuova campagna, si ricomincia a parlare di assaggio dell’olio extravergine di oliva e di relativo panel test e, purtroppo, non sempre l’argomento è affrontato con la necessaria lucidità e competenza.

Capita così che il panel test diventi argomento da tifo da stadio sui social, così come nella vita reale con opposte fazioni che attribuiscono a questa analisi rispettivamente grandi meriti o grandi colpe. Sgombro il campo da equivoci e chiarisco che, a mio modo di vedere, l’analisi organolettica degli oli di oliva vergini e, più in particolare il panel test, sia uno strumento efficacissimo non solo di classificazione merceologica ma anche di accrescimento della cultura di prodotto e di miglioramento della qualità degli oli.

L’analisi sensoriale degli oli di oliva vergini viene introdotta per la prima volta dal Consiglio Oleicolo internazionale (COI) nel 1987 e diventa legge qualche anno dopo in quella che al tempo era chiamata Comunità Economica Europea con il Regolamento CEE 2568/1991 che, ai fini di classificazione merceologica degli oli di oliva vergini, affianca all’analisi chimica una valutazione organolettica degli stessi disciplinandone con precisione il metodo.

Il cambiamento introdotto dalla norma è epocale in quanto per la prima volta si introduce il concetto di attributo (proprietà caratteristica percettibile) positivo (il più importante è il fruttato definito come insieme delle sensazioni olfattive, che dipendono dalla varietà delle olive, caratteristiche dell’olio ottenuto da frutti sani e freschi, verdi o maturi, percepite per via diretta e/o retronasale) e negativo (che potremmo sinteticamente definire come odore o sapore di un olio determinato da processi fermentativi, ossidativi o da altre problematiche occorse alle olive o all’olio in una o più delle fasi che vanno dalla coltivazione, raccolta, stoccaggio prima della molitura, molitura e conservazione dell’olio) e soprattutto stabilisce che la classificazione merceologica di un olio dovesse essere effettuata sulla base della eventuale rilevazione ed intensità di detti attributi da parte di un gruppo di persone adeguatamente addestrate e formate.

Da quel momento si affianca pertanto all’analisi chimica effettuata con apparecchiature, strumenti e reagenti una analisi organolettica effettuata da esseri umani che, in quanto tali – ed al fine di attribuire credibilità all’analisi e di garantirne una ripetibilità ed una  riproducibilità – necessitano non solo di una formazione adeguata, ma anche di standard di riferimento comuni e di un costante allenamento e periodica misurazione delle performance al fine di evidenziare eventuali necessità di ulteriore addestramento, esattamente come ci si comporta con la strumentazione necessaria all’effettuazione delle analisi chimiche che viene sottoposta a regolare taratura e manutenzione.

In questa occasione, però, non vorrei discutere dell’affidabilità del metodo, argomento ormai ampiamente sviscerato e la cui attendibilità (alle condizioni sopra accennate) è dimostrata. Mi piacerebbe piuttosto soffermarmi sull’importanza della valutazione organolettica nel processo di miglioramento della qualità del prodotto.

Una premessa è d’obbligo: la valutazione organolettica di un olio consente di attribuirne la classificazione merceologica o a descriverne le caratteristiche al momento dell’assaggio e non sempre consente di effettuare una valutazione precisa sull’evoluzione delle stesse.  In altri termini è come una fotografia che fossilizza in un preciso istante le caratteristiche del soggetto ritratto (in questo caso l’olio) e non permette di determinare o prevedere come il soggetto si modificherà nel tempo. In quest’ottica diventa ad esempio molto complicato valutare la shelf life di un olio anche perché l’ossidazione (al pari di qualsiasi caratteristica positiva o negativa) è influenzata dalle condizioni di conservazione. D’altra parte lo stesso dicasi per alcune delle analisi chimiche i cui valori evolvono nel tempo.

Tenute in debito conto queste considerazioni non possiamo fare a meno di considerare però che l’assaggio di un olio può restituirci preziose informazioni circa lo stato di salute delle olive, il loro livello di maturazione, tempi e modalità di stoccaggio delle olive, tecnologia di trasformazione adottata e tempi e temperature di processo e da ultimo condizioni di stoccaggio dell’olio.

Ciascuna delle fasi del processo sopra specificate, se condotte in modo non corretto, determina l’insorgenza di un difetto percepibile all’assaggio ed univocamente riconducibile alla fase nella quale è avvenuto.

Il difetto di riscaldo (al pari del difetto di avvinato) ad esempio ci darà informazioni sui tempi e sulle modalità di stoccaggio delle olive prima della molitura; il difetto di morchia ci darà informazioni sulla conservazione dell’olio; quello di cotto sulle temperature di gramolazione; quello di rancido sullo stato di invecchiamento del prodotto e così via.

Effettuare una valutazione organolettica dell’olio man mano che lo si produce ci consente pertanto di evidenziare eventuali problematiche del prodotto, associarle alla fase nella quale si sono sviluppate e prontamente risolverle. Condizione necessaria affinché questo avvenga è che ci sia da parte dell’operatore la disponibilità a mettersi in discussione ed il desiderio di crescere migliorando la qualità dell’olio prodotto. In quest’ottica e è pertanto auspicabile un utilizzo sempre più spinto della valutazione organolettica e del panel test direttamente in produzione al fine di ottenere un olio che sia non solo assolutamente conforme ai parametri stringenti della norma, ma anche alle aspettative di un mercato sempre più competitivo, provando a spostare l’attenzione del consumatore dal prezzo dell’olio alla sua qualità.

Tags: in evidenza, Marasciulo, panel test

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