Come è noto gli uomini hanno delle pretese verso gli olivi, che se vengono disattese piano piano generano il loro deterioramento fino al completo abbandono, con conseguente rovina della loro architettura, perdita della loro funzionalità, del valore economico e paesaggistico.
A salvaguardia del nostro prezioso e unico patrimonio olivicolo, con l’obiettivo di fornire riferimenti utili che consentano di intervenire con maggiore cognizione, parliamo di oliveti che versano in precarie condizioni a causa di un’elevata densità d’impianto. Nei moderni sistemi di intensificazione colturale, se non supportati da un’adeguata conoscenza delle caratteristiche delle cultivar e dell’ambiente di coltivazione, possiamo andare incontro a un rapido accrescimento del volume della chioma che provoca in breve tempo la riduzione degli spazi assegnati, limitando gli olivi nel suo desiderio di espansione fino a provocare una forte competizione, impegnati ad intercettare la massima quantità di energia luminosa per esplicare le proprie funzioni vitali.
Le piante di olivo che si trovano a competere per la luce percepiscano l’ombra reciproca (non percepibile dalla clorofilla) mediante fotorecettori come i fitocromi, i criptocromi e le fototropine, che stimolano l’attività di sostanze ormonali che favoriscono la spinta vegetativa verso la sorgente luminosa (fototropismo), accelerando la crescita verso l’alto per sovrastare le piante con cui competono (fuga d’ombra). Questo processo stabilisce uno spostamento della maggiore attività vegetativa e produttiva nella parte superiore di chioma che tende a prevalere, penalizzando le parti medio basali ritenute espressamente le più interessanti e vantaggiose per l’olivicoltore, comportando una maggiore spesa e una peggiore espressione del potenziale produttivo.
Per evitare l’affermazione della parte superiore ed invertire questo ordine di supremazia e subordinazione vegetativa, possiamo intervenire riportando le piante a una forma più congrua all’ambiente di coltivazione, modificando la conformazione della chioma mediante l’esecuzione di una potatura di riforma graduale o totale, a seconda dei diversi approcci determinati dalle varie circostanze, al fine di accelerare il pieno recupero della pianta e del suo massimo potenziale produttivo.
La potatura di riforma consiste nel ridurre la parte scheletrica, sopprimendo il soverchio numero di branche primarie attraverso un’attenta opera di selezionamento, in modo tale che quelle destinate a rimanere risultino correttamente distanziate e inclinate rispetto all’asse, e in numero limitato ma sufficiente a ricoprire al meglio gli spazi, per evitare di creare eccessive ed improduttive sfinestrature (…).
Negli olivi che presentano branche principali con un’accentuata inclinazione verso l’esterno, si crea un’abbondante spaziatura fra gli elementi strutturali all’interno del vaso, spingendo l’albero ad una energica risposta (epitonia) che si manifesta con una robusta emissione di succhioni dorsali, nel tentativo di occupare nuovamente e nel più breve tempo possibile gli spazi desiderati per ripristinare la forma naturale. La ridotta inclinazione delle primarie, invece, implica una minore emissione di succhioni, ma una eccessiva e dannosa tendenza degli assi primari a sviluppare in altezza e in diametro difficilmente controllabile.
Seguendo i concetti espressi dal suo ideatore Alfredo Roventini, la struttura degli assi principali del vaso policonico deve essere guidata verso un unico percorso, sopprimendo (razionalmente) le formazioni dicotomiche posizionate nelle porzioni superiori, in quanto ritenute responsabili di un’elevata ma deleteria capacità di attrarre e trattenere le sostanze nutritive nei settori sovrastanti, pur ammettendo, comunque, un minimo di sdoppiamento dicotomico, ma solo se originato dalle quote inferiori della branca primaria per formare la parte scheletrica basilare.
Conclusa l’impostazione delle branche primarie, l’intervento potrà proseguire con un’opera di diradamento delle branche secondarie, con l’obiettivo di assicurare loro il giusto spazio onde evitare il reciproco ombreggiamento, indirizzandole in un ordine di sviluppo decrescente a partire dal basso verso l’alto, curando il loro progressivo rivestimento fino alla cima, per ottenere quel gradiente conico di vegetazione che consentirà una migliore illuminazione delle parti ritenute di maggior interesse per l’olivicoltore.
A coloro che si approcciano alla potatura a vaso policonico e che necessitano di ulteriori conoscenze per acquisire un sufficiente grado di preparazione e poter operare autonomamente e consapevolmente, ci tengo a informarli che, il segreto della potatura sta nel bilanciamento tra intervento umano e la libertà di sviluppo della pianta. Quella a vaso policonico è una delle forme più diffuse e si basa sulla ripartizione della chioma su più coni di vegetazione distanziati equidistantemente, inseriti al vertice del tronco e inclinati verso l’esterno di 30/45 gradi rispetto all’asse, che vadano ad occupare l’intero arco dei 360 gradi.
Chi avesse invece già strutturato le piante correttamente a vaso policonico, dovrà effettuare solamente leggeri e brevi interventi, incentrati alla eliminazione dei succhioni più vigorosi giudicati superflui posizionati sul dorso delle branche primarie, lasciando quei pochi e meglio disposti sia per la sostituzione di parti deperite, sia per effettuare tagli di ritorno di branche primarie sviluppate troppo esternamente, nonché per il rivestimento di parti prive di vegetazione o per la sostituzione di branche secondarie sviluppate ormai eccessivamente, trasformando il succhione in branca secondaria indirizzandola precocemente a frutto tramite incurvatura.
È altresì importane non eliminare i succhioni più piccoli, allo scopo di conservare la funzionalità del dorso delle branche primarie, per evitare la classica necrosi dei tessuti con conseguente formazione delle corde di secco, fra le prime cause della formazione di carie.
Proseguendo nelle operazioni si dovrà procedere alla eliminazione dei succhioni più assurgenti e vigorosi presenti sulle branche secondarie, prediligendo e selezionando quelli a media vigoria, più flessibili, più propensi all’incurvamento e meglio orientati nello spazio, per conferire più ordine e maggiore possibilità di sviluppo, considerando che, più il loro punto di origine si sposta verso l’esterno della branca, solitamente, prima perdono l’habitus vegetativo a favore di quello produttivo. Successivamente (all’occorrenza), si dovrà provvedere alla eliminazione delle ramificazioni ventrali in via di esaurimento, alla eliminazione di eccessivi affastellamenti e alla precisazione delle cime.
Quest’ultime, ritenute I capisaldi del metodo Roventini, dette anche guide, frecce, tiralinfa o pompe, dovranno essere commisurate alle potenzialità di ogni singolo albero, in conformità con l’ambiente e compatibili con i sistemi di raccolta prescelti. L’abilità del potatore sta nell’individuare un germoglio che si evolverà in una futura cima calma, ovvero una cima a bassa vigoria che cresca lentamente, ricca di rami laterali esili, flessibili e produttivi, che offra nel contempo soddisfazione alla pianta e una facile gestione all’olivicoltore.
Se operiamo su piante vigorose e ben rivestite inserite in un ambiente arieggiato e illuminato, possiamo adeguare una cima lussureggiante in sintonia con la vigoria dell’olivo. Al contrario, se operiamo su piante con una bassa vigoria o su branche primarie che necessitano di ulteriore rivestimento nella parte medio bassa, è sufficiente una cima meno esigente, ma che comunque sia garantisca la continuità vascolare e dunque la normale circolazione della linfa, pur limitandola nell’assorbimento di sostanze nutritive affinché si possa concentrare maggiormente l’attività dell’albero verso le porzioni di chioma più desiderate. Per effettuare correttamente le operazioni di precisazione delle cime dobbiamo prendere in considerazione il rapporto di reciproco equilibrio, in termini di distanza, di altezza e di densità.
La cima o pompa, come la chiamava il dottor Roventini (1920 “l’acefalia deve scomparire “) e come la ricerca ha dimostrato da molti decenni, negli olivi esplica un’azione di controllo della vegetazione sottostante che viene esercitata sia attraverso la via nutrizionale, poiché la parte apicale consuma più nutrienti rispetto alla parte inferiore, sia per via ormonale, perché gli apici vegetativi della cima producono sostanze ormonali che, attivate da stimoli interni ed esterni, esplicano la loro azione veicolando informazioni e istruzioni alle cellule bersaglio presenti negli apici radicali, o in altri organi che possiedono i recettori di membrana per quello specifico fitormone. Le cellule recepiscono il messaggio dei cosiddetti messaggeri chimici (trasduzione del segnale) e lo traducono in risposte specifiche. Queste sostanze svolgono un’azione fondamentale nel coordinamento di molti processi di crescita e comportamentali nel ciclo di vita della pianta e sono essenziali per lo sviluppo morfologico.
Se deroghiamo da tale controllo apicale esercitato dalla cima, facendo a meno di quei requisiti di funzionalità di questo essenziale organo che distribuisce i compiti ai settori sottostanti, oltre ad avere una chioma anarchica di difficile controllo, si presenterà sempre la tendenza a un rapido ed eccessivo accrescimento delle branche secondarie che costituiscono i palchi più elevati, fino a sviluppare in poco tempo delle secondarie di grosso diametro, lunghe e voluminose, che tenderanno a formare dei veri e propri cappelli di vegetazione, ostacolando il passaggio della luce nelle zone inferiori di chioma causando il loro graduale spogliamento. Per giunta, la pianta produrrà maggiormente sia succhioni e sia olive nei settori superiori, che si ripercuoteranno negativamente sui costi di produzione e sullo stato fisiologico delle piante.
Per comprendere l’importanza di questi concetti di funzionalità e di equilibrio dobbiamo prendere l’esempio di olivi che dopo essere stati capitozzati per varie ragioni, quasi sempre sbagliate, inselvatichiscono, perdono l’habitus domestico. In particolare alcune varietà di olivo rispondono alla capitozzatura mantenendo a lungo la loro vegetatività, ossia il loro stato esclusivamente vegetativo, presentando rami rigidi, foglie più piccole, coriacee e spinescenti tipiche dell’olivo selvatico, senza produrre nessun frutto poiché le gemme vengono differenziate esclusivamente a legno. Solitamente questo modo di vegetare cambia, cioè la vegetazione inizia ad ingentilirsi a partire dai rami più alti, quando la pianta inizia ad estendere le sue branche principali in altezza, a frapporre, quindi, una notevole distanza fra apice radicale e cima. Successivamente iniziano ad ingentilirsi i rami delle branche secondarie più sviluppati esternamente, anch’esse appena hanno raggiunto un notevole allontanamento dagli apici radicali. Migliore equilibrio nel rapporto volumetrico fra chioma e radici, maggiore altezza, maggiore distanza fra apice radicale e vegetativo si stabiliscono, maggiori probabilità di differenziazione di gemme a fiore si determinano.
La pianta s’ingentilisce chiaramente quando l’espansione in altezza e in larghezza dell’apparato aereo permette un riequilibrio del volume con l’apparato radicale. Gli indicatori del disquilibrio, oltre alle sopracitate caratteristiche, sono i succhioni. Se la capacità di rifornimento delle radici è superiore alla capacità di consumo della chioma, nuove gemme sono indotte a schiudere per contribuire alla finalità. Una volta raggiunto nuovamente l’equilibrio si ridurrà l’emissione dei succhioni e incrementerà la produzione dei frutti. Quando le branche si saranno perfettamente rivestite lungo i loro assi, la pianta sarà formata da tanti coni progressivamente vestiti dall’alto in basso quante sono le branche determinate. Ciascuna di tali branche il Roventini chiamava “elemento branca – chioma” e la pianta così determinata “policonica”. Quando ci apprestiamo a eseguire le operazioni di potatura di olivi da produzione, dobbiamo cercare di realizzare una potatura che unisca il rispetto della fisiologia della pianta unitamente all’aspetto estetico ed edonistico, vale a dire una forma che contribuisca al benessere della pianta, che riesca (non necessariamente) a essere piacevole al cospetto di chi la osserva e riesca a regalare la massima produttività con il minimo sforzo.
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