Tra le varietà olivicole italiane, Coratina, Biancolilla e Nocellara del Belice talvolta riscontrano problematiche in sede di analisi del contenuto totale degli steroli che non raggiunge il limite minimo stabilito Reg. (Cee) 256891, vale a dire 1000 mg/kg. Questo è principalmente legato alle caratteristiche genetico-varietali; possono influenzare anche determinate condizioni ambientali, pratiche agronomiche, annata di produzione ed il grado di maturazione.
Lo ha evidenziato il prof. Maurizio Servili (Università di Perugia) alla “Giornata di studio sugli steroli totali nell’olio di oliva tra passato presente e futuro”, organizzata dalla Sissg – Società Italiana per lo Studio delle Sostanze Grasse, tenutasi nei giorni scorsi a Roma proprio per inquadrare un problema divenuto di stretta attualità negli ultimi tempi.
Servili ha presentato i risultati di centinaia di studi poliennali esistenti nella letteratura scientifica condotti nel bacino del Mediterraneo che prendono in esame campioni di olio monovarietali oggetto di analisi della frazione sterolica, evidenziando come determinati fattori, in particolare quello genetico-varietale, influenzi il valore degli steroli comportando valori inferiori a 1000 mg/kg. Tra essi, come detto, le varietà dove si è riscontrata tale problematica, sono tre punte di diamante dell’olivicoltura meridionale, in particolare quella pugliese da una parte e siciliana dall’altra, come la Coratina, la Biancolilla e la Nocellara del Belice.
Con il crescente interesse nei confronti degli oli monovarietali divenuti una costante nell’olivicoltura di qualità e al fine di tutelare le DOP italiane dove vi è una limitatissima possibilità di miscelare oli di differenti cultivar, si è cercato di sensibilizzare le istituzioni competenti verso una tematica cruciale che stabilisce la purezza e genuinità degli oli extravergini di oliva.
Il contenuto di steroli, come noto, è uno dei parametri indice di purezza degli oli di oliva, ed è così anche uno strumento per evidenziare eventuali frodi alimentari che possono verificarsi attraverso alterazioni del prodotto con altri oli vegetali. Peraltro il regime sanzionatorio, in questi casi, non è certamente da sottovalutare.
Come uscire da questa situazione? Sicuramente con la necessità di revisionare l’attuale quadro normativo. Ma si tratta di una operazione che richiederà anni: l’Italia ha già informato da tempo del problema sia il COI che l’Unione Europea, senza ricevere riscontri che possano lasciar pensare ad un intervento in tempi rapidi. Ed in ciò, non è mancato chi ha voluto sottolineare come questo sia dovuto allo scarso peso specifico che ha l’Italia nel panorama olivicolo-oleario internazionale.
Sotto il profilo scientifico, viceversa, l’indicazione è puntualmente arrivata: affiancare altri parametri – più efficaci e più performanti – per misurare l’indice di purezza degli oli, come la valutazione degli stigmastadieni (prodotti di disidratazione degli steroli che si formano in fase di raffinazione) e del delta ECN42 che ad oggi sono i due metodi più efficaci per la messa in evidenza di oli non conformi.
Di questi temi si è discusso nella stessa giornata anche con gli organismi di controllo, come l’Istituto repressione frodi (Icqrf) e l’Agenzia delle Dogane, oltre che rappresentanti tecnici del Ministero, del Coi, dell’Unione Europea, del Crea e di associazioni di produttori.
L’auspicio – ha chiosato Lanfranco Conte, presidente della Società Italiana per lo Studio delle Sostanze Grasse – è che il raggiungimento di una migliore conoscenza e consapevolezza del problema da parte delle autorità preposte possa portare all’individuazione di una soluzione in via transitoria o definitiva, che ponga termine ad una situazione che penalizza fortemente settori di eccellenza della produzione nazionale, ad evidente vantaggio di produzioni extra-nazionali.
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