Da oltre vent’anni si discute di ricettazione fitosanitaria come di una svolta non più rinviabile per l’agricoltura italiana. Un sistema che, attraverso la prescrizione tecnica e tracciabile di agrofarmaci e fertilizzanti, promette un uso più consapevole e sostenibile dei prodotti impiegati in campo. Ma nel settore olivicolo, questa prospettiva assume un significato ancora più profondo: non solo innovazione, ma garanzia di qualità, tutela ambientale e valorizzazione del lavoro tecnico.
La proposta di legge n. 1942, presentata nel 2024 dall’on. Nino Minardo, punta a introdurre l’obbligo della ricetta elettronica per ogni intervento fitosanitario, affidandone la redazione a professionisti abilitati – agronomi, periti agrari e agrotecnici. Un passaggio che potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui si gestisce la difesa dell’olivo, specie in un momento storico in cui le sfide fitosanitarie si fanno sempre più complesse.

Non si tratta di burocrazia, come temono alcuni. Si tratta di razionalizzazione. In un comparto dove la marginalità economica è spesso ridotta, evitare sprechi e trattamenti inutili significa anche risparmiare. E valorizzare il ruolo del tecnico, troppo spesso relegato a semplice compilatore del quaderno di campagna, significa restituire dignità e competenza a chi conosce davvero il territorio.
Il confronto con il settore veterinario, dove la ricetta elettronica è già realtà, mostra che il sistema può funzionare. Tracciabilità, sicurezza, responsabilità: sono parole chiave che l’olivicoltura non può più ignorare. Anche perché l’Unione Europea, attraverso il Green Deal e la strategia Farm to Fork, chiede con forza una riduzione dell’uso di sostanze chimiche e una maggiore trasparenza nell’impiego dei mezzi tecnici.
Le resistenze non mancano. C’è chi teme un aggravio burocratico per gli agricoltori, chi difende la libera vendita, chi denuncia l’assenza di una regia normativa condivisa. Ma il tempo stringe. L’Italia non può permettersi di restare indietro, soprattutto in un settore come quello olivicolo, che rappresenta non solo un’eccellenza agroalimentare, ma anche un presidio culturale e paesaggistico.
La proposta Minardo può essere migliorata, certo, ma è un punto di partenza, un’occasione per trasformare le parole in norme, le intenzioni in strumenti, le promesse in realtà.



















