
I prodotti alimentari e la filtrazione
La semplice esperienza quotidiana di acquisto in negozio piuttosto che al mercato ci conferma un’ovvietà, a cui siamo talmente abituati che non ci facciamo più neanche caso: i prodotti che troviamo normalmente in vendita sono ripuliti dagli scarti di lavorazione. Infatti la quasi totalità dei prodotti in commercio subisce ordinari processi di filtrazione (vino, latte, succhi di frutta) o di setacciatura (farine, zuccheri) e questo vale anche per i prodotti integrali o non raffinati, perché – è bene ricordarlo – la setacciatura e la filtrazione servono per rimuovere le impurità dal prodotto e cioè quelle parti che nulla hanno a che vedere con la classificazione merceologica del prodotto stesso.
Questa regola generale non sembra valere quando si acquista l’olio perché sovente al consumatore viene proposto l’extravergine torbido, insinuando l’idea che sia quello vero o comunque migliore di uno filtrato.
Cos’è la filtrazione

In passato, il metodo più utilizzato era quello della decantazione naturale all’interno di vasche, dove l’olio veniva messo e lasciato a riposare per una o due settimane. A mano a mano che il tempo passava, si rimuoveva l’olio dall’alto con appositi attrezzi, fino ad arrivare al fango depositato sul fondo, che veniva spesso impiegato per la preparazione di creme o paté di olive.
Fortunatamente oggi ci sono strumenti che in pochissimo tempo svolgono questo lavoro nel migliore dei modi, evitando qualsiasi tipo di danno all’olio.
Separatore – È una sorta di centrifuga verticale che attraverso la rotazione ad alta velocità di dischi conici separa l’olio dai residui di acqua e lavorazione, sfruttando i diversi pesi specifici.
Filtro – Il sistema più utilizzato è quello a pannelli: derivato dall’enologia, è composto da una serie di piastre opportunamente sagomate solitamente in nylon, poste una a ridosso dell’altra fino a formare una specie di pacchetto, tra le quali si interpongono dei fogli quasi sempre in cellulosa compatta, che hanno una porosità variabile. Una pompa spinge all’interno di questo pacchetto l’olio che si libera dalle impurità solide o semisolide perché vengono trattenute dal cartone, che ha pori di dimensione più piccoli delle impurità stesse. E viene rimossa anche la residua fase acquosa grazie all’assorbimento del materiale cellulosico che è idrofilo.
Perché si deve filtrare?

Mi spiego meglio con una comparazione: se dall’olio appena fatto rimuoviamo queste particelle in sospensione e le appoggiamo su un piatto, inizialmente avremo un piacevole profumo di olive. Ma se la lasciamo nel piatto, nel giro di poco inizia a fermentare e diventa rancida. La stessa cosa succede se la lasciamo nell’olio e cioè non eseguiamo la filtrazione: in un primo tempo le particelle in sospensione nell’olio non creano problemi, ma dopo qualche mese il torbido inizia a decomporsi, conferendo sensazioni organolettiche di fermentato, di marcio, di olive andate a male con sentori spesso a metà strada tra la salamoia e il formaggio: tecnicamente siamo in presenza del difetto di morchia.
Anche se alcuni studi hanno dimostrato che nei materiali in sospensione ci sono composti fenolici disciolti in un’emulsione acqua-olio e che questi sono ridotti dalla filtrazione, è da ricordare che il maggiore contenuto di fase polare negli oli non filtrati aumenta esponenzialmente l’alterazione, soprattutto ad una temperatura inadeguata, influenzando principalmente l’acidità libera e gli attributi sensoriali, rendendo insignificanti nel tempo i vantaggi dei polifenoli in sospensione. Pertanto se l’olio è consumato in breve tempo (non oltre tre/quattro mesi dalla produzione), in perfette condizioni di conservazione non sorgono problemi; se però è destinato a durare più a lungo è fondamentale filtrarlo, possibilmente subito dopo la produzione e comunque entro pochi di giorni evitando i sistemi artigianali o anacronistici di cui ho detto prima.
Mosto & Novello? No, grazie
Come ben sappiamo la pubblicità fa leva su giochi di parole, spesso senza senso, che colpiscono l’immaginario del consumatore. Nel caso dell’extravergine sembra proprio che sia davvero importante condire con le parole più che con l’olio. Infatti il prodotto torbido, non filtrato, è spesso denominato impropriamente mosto o olio novello, due termini rubati all’enologia che nulla hanno a che fare con l’olio: direi piuttosto che sono antitetici.
Il mosto: è il prodotto dell’uva pigiata e rappresenta l’inizio della fermentazione alcolica che è alla base di molte bevande e quindi non si capisce l’attinenza con l’olio che è unicamente spremuta di olive e quando s’innescano le fermentazioni siamo in presenza di gravi difetti.
L’olio novello: sappiamo che il vino novello è ottenuto dalla macerazione carbonica di alcune uve (non tutte: in Italia diciamo una sessantina) e venduto nello stesso anno della vendemmia da cui proviene; l’olio viene invece prodotto con tutte le varietà di olive esistenti e mediamente viene venduto nell’anno successivo alla raccolta.
Olio filtrato? Sempre!
Quindi se vi piace l’olio torbido acquistatelo pure, ma deve essere freschissimo e va consumato molto velocemente. E la prossima volta che troverete una bottiglia di olio che sull’etichetta riporta la scritta “il fondo è indice di genuinità” fatevi questa domanda: se trovassi questa scritta su una bottiglia di acqua minerale o di latte, le comprerei? Ecco, fatevi questa semplice domanda, ma non dimenticate di farvi qualche domanda sul prodotto e sul suo produttore!














