Durante la tornata dell’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio tenutasi a Casoli (CH) e dedicata al recupero degli oliveti abbandonati in appennino, Enrico Maria Lodolini (nella foto), ricercatore del CREA – Centro di Ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura, ha presentato uno studio condotto in collaborazione con i ricercatori dell’Università Politecnica delle Marche che aveva l’obiettivo di valutare le migliori strategie di potatura di riforma su oliveti in fase di abbandono ma con potenzialità di recupero. Il tutto partendo dal presupposto che l’olivicoltura italiana è ancora oggi rappresentata in maggioranza da un elevato numero di oliveti tradizionali con sesti d’impianto irregolari, basse densità, grandi dimensioni degli alberi, presenza di più fusti, elevata alternanza di produzione. Tutte queste condizioni, spesso combinate con forti pendenze degli appezzamenti, limitano la meccanizzazione di alcune pratiche colturali e determinano elevati costi di gestione conducendo all’abbandono.
Tanto per citare dei numeri: il censimento dell’agricoltura stima che, dal 2010 al 2020, si sia perso un 11% di superfici investite ad olivo, ma la sensazione è che tale percentuale si attesti a livelli molto più ampi, anche oltre il 30%. Di qui l’obiettivo delle ricerche condotte: questi oliveti possono essere recuperati, tornare pienamente produttivi e generare reddito?
Sono stati presi in esame cinque oliveti tradizionali in diverse regioni italiane (Umbria, Lazio, Puglia, Calabria e Sicilia) con la varietà rappresentativa di ciascuna area (Moraiolo, Leccino, Cima di Bitonto, Carolea e Nocellara del Belice, rispettivamente). Su alberi con chiome fortemente invecchiate, sono state adottate due strategie di potatura di riforma (e ringiovanimento), con l’obiettivo di ottenere una forma di allevamento finale a vaso policonico a chioma libera:
• intensa, con selezione delle branche primarie e ricerca della struttura scheletrica finale della chioma;
• leggera, con selezione della struttura finale effettuata progressivamente negli anni.
Entrambi i tipi di potatura sono stati eseguiti per quattro anni consecutivi, (dal 2019 al 2022), durante i quali sono stati registrati puntualmente la risposta vegetativa in termini di emissione di polloni e succhioni, i tempi di potatura e la quantità di materiale rimosso suddiviso in trinciabile (frasca al di sotto di 8 cm di diametro) e non trinciabile (legno al di sopra di 8 cm di diametro), e parametri biometrici degli alberi (altezza degli alberi, calibro del tronco, volume della chioma, ecc), e produzione di frutti.
In particolare, nel 2019 e nel 2020, la potatura intensa ha generalmente stimolato una maggiore emissione di polloni e di succhioni rispetto alla potatura leggera, mentre nel 2021 e 2022 non sono state registrate differenze fra i due trattamenti di potatura. Gli alberi sono stati riportati a dimensioni idonee (4/5 metri di altezza) per effettuare gli interventi direttamente da terra utilizzando attrezzatura agevolata e i tempi d’intervento risultavano contenuti entro i 10 minuti ad albero per entrambe i trattamenti di potatura al quarto anno.
Purtroppo, nei quattro anni di ricerca non è stato possibile osservare un pieno ritorno in produzione degli alberi riformati anche se il trend sembrava in crescita.
Sono anche stati stimati i benefici economici derivanti dai residui di potatura, vale a dire il legno e la frasca trinciabile da utilizzare nel primo caso come fonte energetica (biomassa o pellet) e nel secondo come ammendante da trinciare in loco per aumentare il contenuto di sostanza organica del suolo. Le simulazioni di bilancio economico, laddove si era in presenza di alberi di grandi dimensioni (come la Carolea in Calabria) hanno dato un risultato significativamente positivo, nel senso che la vendita come legna da ardere del materiale non trinciabile consentiva di coprire abbondantemente le spese di potatura con un saldo attivo di circa mille euro ad ettaro.
Gli alberi sottoposti a potatura di riforma presentavano alla fine della sperimentazione una struttura scheletrica semplificata, una chioma con una buona attitudine vegetativa e in fase di recupero dei volumi iniziali e un baricentro spostato verso il basso. Tali condizioni consentono, laddove possibile, l’applicazione della meccanizzazione delle operazioni di potatura e raccolta, consentendo una gestione economicamente più sostenibile degli oliveti. I risultati delle ricerche hanno confermato che il recupero di alberi di olivo fortemente invecchiati è possibile e che, adottando opportuni accorgimenti tecnici che prevedono anche la difesa e la nutrizione, l’impianto può tornare pienamente in funzione con risultati economici più che soddisfacenti per l’olivicoltore.