Superintensivo in asciutto e nuove varietà adatte anche alle sfide climatiche: sono i progetti a cui sta lavorando il gruppo di ricerca guidato dal prof. Salvatore Camposeo all’Università di Bari Aldo Moro, il padre della Lecciana, della Coriana e della Elviana, le varietà finora brevettate dall’ateneo pugliese, che oggi rappresentano il 30% dei nuovi oliveti nel mondo.

Prof. Camposeo, partiamo dalla sperimentazione in aridocoltura. Quasi una sfida culturale ancor prima che colturale, non crede?
“Lecciana (incrocio Leccino x Arbosana, ndr) continua a mostrare prestazioni agronomiche molto apprezzate proprio in situazioni marginali. Abbiamo già avuto numerosi riscontri aziendali in diversi areali del Mediterraneo. Dallo scorso anno è partita la sperimentazione in asciutto in una azienda olivicola in areale infetto. Perché, come noto, la Lecciana è anche resistente a Xylella”.
Si punta a sfatare un tabù, insomma…
“Più che un tabù, il tema è l’olivicoltura nel suo complesso. In Italia la metà degli oliveti tradizionali è in stato di abbandono. E questo perché i costi di produzione non sono assolutamente sostenibili. Non lo erano prima, non lo sono neanche oggi, malgrado il prezzo dell’olio extra vergine sia significativamente aumentato. La scorsa annata l’Italia è scesa al quinto posto nella classifica mondiale dei produttori di olio di oliva. C’è una via di uscita e non tanto per recuperare posizioni in classifica, quanto piuttosto per dare una prospettiva futura all’olivicoltura. Oggi gli oliveti moderni superintensivi sono diffusi su quasi 5.000 ettari, di cui la metà in Puglia, su un totale di oltre un milione di ettari di oliveti nazionali”.

E qui si inserisce anche il programma volto a creare nuove varietà, giusto?
“È un progetto di lungo periodo che portiamo avanti insieme a colleghi spagnoli. È un accordo di ricerca pubblico-privato a tre, volto al miglioramento genetico dell’olivo per la gestione in aridocoltura. L’obiettivo è individuare varietà di olivo a bassa vigoria coltivabili con successo senza l’ausilio della irrigazione. Siamo già al lavoro con alcune selezioni, anche grazie allo studio in fitotroni di ultima generazione che stanno per entrare in funzione nei prossimi giorni presso il nostro campus di Bari”.
Perdoni, professore: ma la biodiversità che è un valore dell’olivicoltura italiana non rischia di essere cancellata di questo passo?
“Una domanda a cui rispondo con dei numeri che, a differenza delle parole, non sono suscettibili di interpretazione. Se 533 varietà della biodiversità olivicola italiana significano ‘valore’, i numeri dicono l’esatto opposto: le 42 Dop e Igp nazionali messe insieme producono il 3%, mentre il 50% dell’olio italiano è estratto da sole 5 cultivar.
Se significano dare valore al settore olivicolo nazionale, anche in questo caso i numeri sono impietosi: il tasso di produzione è sceso del 30% nell’ultimo quinquennio, appena il 5% degli oliveti ha meno di 40 anni, la metà della superficie olivetata in Italia ha un tasso di intensificazione inferiore ai 250 alberi per ettaro, solo il 12% è irrigata, quasi la metà delle aziende olivicole non raggiunge il 5% del valore economico”.

Il superintensivo, invece, che risposte dà?
“Gli oliveti moderni a meccanizzazione integrale forniscono reddito, ricchezza ed occupazione, con le varietà adatte come la Lecciana e le altre, tutte iscritte al registro nazionale della varietà di olivo. Gli oli prodotti sono Made in Italy con ottime le caratteristiche sensoriali, premiati in prestigiosi concorsi nazionali. Sotto il profilo nutraceutico gli oli hanno tutte le caratteristiche per potersi fregiare del claim salutistico dei polifenoli previsto dall’Efsa. Gli oliveti superintensivi possono essere condotti in regime di Agricoltura Biologica. La Lecciana è stata inserita nel disciplinare di produzione dell’olio DOP Terra d’Otranto…. e potremmo continuare”.
Avviamoci alla conclusione.
“La filiera olivicola-olearia italiana è caratterizzata da strabismo. Nei frantoi abbiamo da un pezzo abbandonato presse, fiscoli e molazze, sostituendoli con frangitori, gramole, decanter e separatori, atmosfera confinata, ultrasuoni, e altre tecnologie avanzate. Negli oliveti, invece, nulla ‘deve’ cambiare, o quasi…. Ma se vogliamo che l’Italia continui a produrre olio extra vergine, occorre una rivoluzione culturale in campo, con una moderna olivicoltura associata a tre requisiti: mentalità imprenditoriale, mentalità frutticola, assistenza tecnica specializzata”.


















