di Francesca Gambin e Roberta Ruggeri
Ufficio Economico Aipo
Dopo le analisi sui costi di produzione e le denunce di pratiche sleali, resta da capire come il prezzo dell’olio extra vergine rifletta non solo dinamiche di mercato, ma anche valori culturali e identitari. Non si tratta soltanto di numeri, dietro ogni bottiglia si nascondono scelte agronomiche, costi di produzione crescenti e una filiera che fatica a mantenere equilibrio tra sostenibilità economica e qualità percepita dal consumatore.
La dinamica dei prezzi, infatti, si muove su più binari. Nei frantoi italiani, gli oli confezionati e destinati alla vendita diretta, il valore medio oscilla tra i 12 e i 18 euro al litro, con punte che superano i 20 euro.
Nella grande distribuzione l’extra vergine, miscele di oli comunitari e extra comunitari, si trova a scaffale in una forbice più ampia, tra 4,80 e 9,00 euro, dall’altro le linee territoriali 100% italiano che si collocano tra i 14 e i 16 euro al litro. Qui entrano in gioco le economie di scala e le strategie di marketing, che coprono ormai l’80% delle vendite, ma al tempo stesso riducono la percezione del prodotto a una logica di volume e standardizzazione.
Al frantoio, o nelle vendite dirette delle aziende oleicole, l’acquisto nasce innanzitutto dall’assaggio del prodotto e dal potersi sincerare della sua tracciabilità e freschezza.
La domanda cruciale è se la recente flessione all’ingrosso si tradurrà in un ribasso dei prezzi al consumo.
La grande distribuzione tende a mantenere una certa stabilità per non disorientare il consumatore, ma se il ribasso dovesse consolidarsi è plausibile attendersi un riposizionamento nella fascia media entro la fine del 2025 o nei primi mesi del 2026, con oli italiani venduti tra 7 e 9 euro al litro.
Il costo reale di produzione resta però un vincolo strutturale. Nel 2025, il prezzo delle olive varia tra 70 e 130 euro al quintale, con rese medie comprese tra il 12,5% e il 16%. Questo significa che il solo costo della materia prima per ottenere un litro di olio oscilla tra 4,80 e 6,30 euro, a cui vanno aggiunti molitura, imbottigliamento, logistica e certificazioni. Il costo industriale complessivo supera quindi i 6 euro/litro, con punte vicino ai 7,50 euro nei casi meno favorevoli. Considerando un margine lordo del 30% per la distribuzione, il prezzo minimo sostenibile a scaffale si colloca tra 7,80 e 9,80 euro/litro.
Accanto ai frantoi e ai grandi imbottigliatori, non va dimenticato il ruolo dei piccoli produttori confezionatori, che vendono direttamente il proprio olio. In questo segmento, il prezzo non è solo una variabile economica, ma un riflesso del valore percepito e condiviso: autenticità, trasparenza, relazione diretta.
Sono oli “identitari”, capaci di raccontare un territorio e di mantenere un legame forte tra chi produce e chi consuma.
È una filiera parallela che sfugge alle logiche speculative e che, proprio per questo, merita di essere valorizzata.
La vera domanda, quindi, non è soltanto “quanto costa l’olio?”, ma “quale olio vogliamo comprare”: un extra vergine standardizzato, frutto di grandi volumi e promozioni, oppure un extra vergine fresco, profumato e duraturo, che sostiene i produttori locali e restituisce al consumatore la storia di un territorio.
Il prezzo dell’olio extra vergine non è un semplice dato di mercato, ma il riflesso di una filiera complessa.
Scegliere consapevolmente significa riconoscere che dietro ogni litro ci sono lavoro, rischi climatici, investimenti e un patrimonio culturale che merita di essere difeso.



















