Si è inventato un modo di raccontare l’olio di oliva e di tutto ciò che ci gira intorno in forma assolutamente originale, capace di affascinare sia gli esperti che i neofiti di un settore dove, come egli stesso ricorda, “le informazioni sono poche e spesso contradditorie”. Lui è Marco Antonucci (nella foto), la sua rubrica è “Gocce d’Olio”, l’originale forma è il podcast, o meglio, citandolo ancora una volta “l’unico podcast al mondo in italiano e in inglese dedicato a chi vuole sapere tutto sul mondo dell’olio di oliva”.
Marco Antonucci, bergamasco, si definisce architetto. Ma a scorrere il suo curriculum può benissimo essere identificato come Capo Panel, giornalista e scrittore di olio e olivicoltura, docente universitario su corsi tecnici legati all’extravergine, relatore di convegni e meeting dedicati al settore olivicolo-oleario… e tanto altro ancora.
Perché parliamo di lui? Semplicemente perché ha raggiunto in questo mese di dicembre un traguardo speciale: il 100° podcast sul mondo dell’olio di oliva. E la sua storia merita di essere raccontata.
Architetto Antonucci, come è nata questa idea?
“Era l’inizio del 2018, ascoltavo podcast americani, che a quel tempo erano già molto diffusi al di là dell’oceano, mentre in Italia era una forma di comunicazione e intrattenimento che ancora non andava. Avevo già pubblicato diversi libri sull’olio. E mi sono detto: basta scrivere l’ennesimo, proviamo a raccontarlo a voce. Proviamo con i podcast. Tre cartelle dattiloscritte da leggere, non una di più”.
Come è stato il debutto al microfono?
“In realtà avevo avuto già esperienze in radio, dunque ero agevolato in questo. Devo poi riconoscere che la risposta è stata molto positiva, incoraggiandomi a continuare. Prima in forma meno puntuale, poi, con l’arrivo del Covid, è diventata fissa e si è declinata anche in inglese grazie al prezioso aiuto di una cara amica come Milena Wilcox”.
A che tipo di pubblico pensava e pensa ancora oggi di rivolgersi?
“Come ho detto nel 100° podcast l’obiettivo era offrire, senza presunzione, risposte alle domande che nel tempo mi erano state rivolte dal pubblico nel corso dei convegni, dei corsi, degli incontri dedicati all’olio. Siamo riusciti ad entrare in contatto con produttori e appassionati di tutto il mondo. E alcuni dei testi sono stati tradotti anche in altre lingue: dal francese allo spagnolo, dal turco al giapponese. I dati di scaricamento del podcast, del resto, confermano una crescita di ascolti costante anche dall’estero”.
Quali i temi dove ha riscontrato maggiore interesse del pubblico?
“Quelli che appartengono al retaggio culturale di questo settore: le rese, gli strumenti di lavoro, i contenitori per conservare l’olio, l’etichettatura e le strategie di vendita, tanto per citarne alcuni”.
Dopo 100 podcast c’è ancora spazio per parlare di olio?
“Assolutamente sì, ho già pronta un’altra trentina di titoli. Il mondo dell’olio spazia in tanti ambiti: dalla ristorazione alla cosmesi. E poi c’è ancora tanto da approfondire sulla tecnologia di estrazione dell’olio…. Gli spunti non mancano di certo”.
Guardando indietro in questi 5 anni, che riflessione si sente di fare?
“Torno bambino, quando in Abruzzo, mia regione di origine, andavo con i nonni a raccogliere a mano le olive in piante secolari, per poi portarle in un mulino ancora più datato che produceva un olio davvero schifoso. Ho nostalgia di quei tempi, non certo di quell’olio Ma se oggi, grazie a questi podcast, ho incuriosito qualcuno a porre attenzione all’olio che utilizza, a conoscere come nasce, da che olive viene prodotto, sapendone apprezzare aspetti sensoriali e poi anche il fruttato, l’amaro e il piccante, beh, allora posso dire che quel bambino ha fatto tesoro della propria esperienza ed è riuscito a compiere un bel pezzo di strada”.
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