di Francesca Gambin e Roberta Ruggeri
Ufficio economico Aipo
Il bilancio semestrale 2025 del comparto oleario italiano restituisce un quadro articolato e tutt’altro che univoco.
Se da un lato emerge una crescente dipendenza da olio importato, dall’altro si conferma la capacità del sistema italiano di valorizzare il proprio prodotto e le proprie competenze sui mercati internazionali. È una storia che certamente denota fragilità, ma anche di capacità di operare e di visione commerciale.
Giacenze e importazioni: una presenza estera sempre più rilevante

A determinare questo quadro ha contribuito anche un forte calo della produzione interna, scesa del 25% rispetto al 2024 a causa di condizioni climatiche estreme, fitopatie irregolari e debolezze soprattutto nella produzione. In questo contesto, l’importazione si è rivelata un meccanismo necessario per evitare carenze e mantenere il sistema in equilibrio.
Consumi interni: segnali incoraggianti

Questo parziale recupero è attribuibile alla crescente attenzione dei consumatori alla qualità e all’origine dell’olio, ma anche agli sforzi della distribuzione e dei produttori nel comunicare il valore nutrizionale e culturale del prodotto.
Campagne educative, storytelling di territorio e la diffusione di packaging più trasparente hanno contribuito a ridare fiducia e interesse verso l’olio di oliva, anche nella sua versione raffinata (olio 00), molto usata in ambito industriale.
Export: competenza artigianale al servizio del mondo

Il successo non si misura solo in valore assoluto, il punto di forza del sistema italiano è la sua capacità artigianale di trasformare anche oli importati in prodotti ad alto valore aggiunto, attraverso blending sapienti, lavorazioni raffinate e tecniche di conservazione avanzate.
L’Italia è apprezzata non solo per il proprio olio “nativo”, ma per la capacità di creare gusto, equilibrio e identità sensoriale, elementi riconosciuti e premiati dai consumatori di tutto il mondo. In questa prospettiva, l’importazione non è soltanto una necessità, ma può diventare una risorsa che consente di mantenere operativa la filiera anche in annate difficili e di rispondere in modo flessibile a una domanda sempre più globale.
Dazi e sfide geopolitiche: una variabile da tenere d’occhio
Sul fronte normativo, al momento non si registrano dazi penalizzanti sulle esportazioni italiane verso i principali mercati extra-UE. Con i dazi negli Usa che per l’olio di oliva passano dal 10 al 15% non ci sono particolari problemi.
Le tensioni geopolitiche, soprattutto tra l’Unione Europea e alcuni Paesi del bacino mediterraneo, come Turchia e Tunisia, rappresentano una variabile da monitorare.
Allo stesso tempo, la concorrenza con altri grandi produttori mediterranei, in primis la Spagna, si gioca non solo sul prezzo, ma sempre di più sulla capacità di raccontare il prodotto in chiave sostenibile, territoriale e certificata.
Un equilibrio da gestire, non da temere
La fotografia del mercato oleario italiano a luglio 2025 non è negativa, ma complessa. La crescente dipendenza dall’estero non equivale a una perdita di identità, se gestita con intelligenza e visione. L’Italia continua a rappresentare un punto di riferimento nel panorama oleario globale non solo per il prodotto in sé, ma per la capacità di valorizzarlo, trasformarlo e posizionarlo.
La sfida per i prossimi anni sarà rilanciare la produzione nazionale attraverso investimenti negli oliveti, innovazione agronomica, formazione tecnica. Solo così sarà possibile consolidare il ruolo dell’Italia non solo come grande esportatore, ma anche come Paese produttore forte, stabile e competitivo.
Il valore dell’olio italiano, in fondo, non si misura solo in euro al chilo ma pure nella sua capacità di resistere, evolversi e raccontare un’identità fatta di cultura, di territorio e, soprattutto,”saper fare”.



















