I cambiamenti climatici stanno già avendo effetti preoccupanti sull’agricoltura, come evidenziato nel recente report dell’IPCC, il Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, che sollecita la riduzione delle emissioni di CO2 del 50% entro il 2030 e il loro azzeramento entro il 2050 per evitare un aumento della temperatura globale di 1,5°C. Se tali misure non venissero adottate, il mondo potrebbe affrontare gravi conseguenze, tra cui lo scioglimento delle calotte di ghiaccio, eventi climatici estremi, ondate di calore, carestie, perdita di biodiversità e riduzione delle risorse ittiche.
L’olivo pianta vulnerabile
Particolarmente vulnerabile è il settore olivicolo, con l’olivo che soffre notevolmente a causa delle variazioni meteorologiche. Gli agricoltori riportano un calo della produzione, attribuibile sia ai cambiamenti climatici sia all’abbandono degli oliveti. Studi come quello di Viola et al. (2013) prevedono una diminuzione delle rese olivicole nei prossimi decenni, principalmente a causa della riduzione delle piogge e dell’aumento delle temperature che influenzano negativamente l’umidità del suolo e la fotosintesi.
Il cambiamento climatico altera anche la fisiologia delle piante, causando stress idrico che riduce la resa delle colture, altera la fotosintesi e danneggia le cellule attraverso l’accumulo di specie reattive dell’ossigeno (ROS). Le piante rispondono a queste condizioni con diverse strategie di adattamento, tra cui la riduzione delle perdite d’acqua, l’aumento della produzione di osmoliti (sostanze che aiutano a mantenere l’equilibrio osmotico) e l’attivazione di sistemi di difesa antiossidanti.
La Commissione Europea ha pubblicato un report sulla gestione del carbon farming, mirato alla neutralità climatica entro il 2050. In questo contesto, la ricerca di Gonzàlez et al. (2019) su varietà di olivo Picual ha evidenziato una diminuzione della resa, frutti più piccoli, bassa resa in olio e un anticipo della maturazione con l’aumento delle temperature.
L’utilizzo degli osmoprotettori
Studi recenti, come quello di Denaxa et al. (2020), hanno esplorato l’efficacia di trattamenti con caolino, glicinbetaina e ambiol (e altri osmoprotettori) su piante di olivo sotto stress idrico, mostrando come questi possano migliorare la resistenza delle piante allo stress ossidativo. Questi prodotti aumentano l’attività di enzimi antiossidanti, migliorando la tolleranza delle piante alla siccità.
E’ buona prassi riuscire a gestire in via preventiva eventuali stress abiotici, in virtù della quasi totalità di oliveti coltivati in assenza di impianto irriguo, che purtroppo a causa dei cambiamenti climatici sono sempre più soggetti ad essere coltivati in condizioni climatiche estreme. Assistiamo alla perdita di vocazionalità di territori olivetati. La sempre più instabilità delle condizioni climatiche adatte alla coltivazione dell’olivo, portano inevitabilmente a perdite in resa e in qualità del noto oro verde.
Come spesso dichiarato, dovremo aggiornare il nostro bagaglio nozionistico al fine di riuscire ad essere al passo con i tempi attuali e convogliare le idee sulla mitigazione dei cambiamenti climatici.
Fortunatamente, di recente società di carbon farming (es. progetto Agriecology_Italy) danno la possibilità agli agricoltori di avere un buon ristoro mediante la generazione di crediti di carbonio, dove mediante la vendita sul mercato volontario riescono a convogliare delle risorse economiche e creare ristoro alle attività agricole per periodi più o meno lunghi.
In conclusione, i cambiamenti climatici rappresentano una minaccia significativa per l’agricoltura, in particolare per l’olivicoltura. È essenziale adottare misure per mitigare gli effetti negativi attraverso la riduzione delle emissioni di CO2 e l’implementazione di tecniche di gestione agricola più sostenibili.
In virtù delle proiezioni sui cambiamenti climatici bisognerà spingersi a trovare soluzioni moderne sulla captazione di acqua piovana, sul miglioramento genetico improntato alla ricerca di portinnesti resistenti alla siccità, salinità nonché a implementazioni di varietà poco alternanti, anziché pensare di conformarsi a standard europei che poco ci appartengono per motivi orografici. Siamo sicuri che il futuro ci permetterà di essere tranquilli sulla disponibilità irrigua? Non mancano esempi in tal senso a farci riflettere.
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