Una nicchia che sta crescendo, forte di una tradizione storica e di un interesse vivo e pulsante: l’olio e il Piemonte, un binomio che sta funzionando come ci spiega Marco Giachino, presidente del Consorzio per la tutela dell’olio extra vergine di oliva Piemonte e Val d’Aosta, in questo viaggio, iniziato nel Medioevo e che continua nell’attualità.
Uliveti in Piemonte, siamo un po’ straniti!
«In realtà già nell’Alto Medioevo l’olivo era relativamente diffuso al nord, nei secoli XII e XIII si hanno numerose segnalazioni di oliveti nel Canavese e nel Biellese, passando dal Torinese fino alle Langhe, al Monferrato ed al Roero».
Come prosegue la storia dell’olio in questa regione?
«A metà del XVI secolo è documentata la presenza dell’olivo a Torino, Chieri, Moncalieri, Rivoli, Val di Susa, Pinerolo e Val Pellice. Troviamo tracce documentali delle coltivazioni anche in provincia di Cuneo, nel Saluzzese e Albese, a Santo Stefano Belbo, nel Monferrato, e in provincia di Alessandria».
Però, a un certo punto c’è stata la svolta.
«Le intense ondate di freddo dei primi anni del 1700 e le poderose gelate invernali tra la fine del secolo e il 1812 hanno determinato l’abbandono dell’olivo come coltura commercialmente sfruttabile a beneficio della vite e del vino già presente ma meno diffuso. Inoltre, i più agevoli scambi commerciali con le regioni del centro sud, hanno reso ancor più conveniente questa virata colturale durata fino alla fine del 1900».
A quando si deve, invece, questo nuovo interesse?
«Dalla fine degli anni ’90 l’olivo ha ritrovato casa in Piemonte per diversi motivi. Un uso privato, attraverso il recupero di terreni incolti, per abbellimento o per piccole produzioni familiari. Ci sono poi state aziende che hanno deciso una riconversione totale o parziale di colture non più produttive come un tempo. Una scelta fatta anche da chi già aveva dei vigneti, per redditi agricoli e anche per giocarsi la carta dell’ospitalità. L’olivo ha dimostrato di essere un ottimo volano per lo sviluppo turistico ed economico delle aree interessate».
Qual è la situazione attuale?
«In Piemonte si stimano circa 350 ettari coltivati a olivo, di questi, anche se in percentuale ridotta, gli hobbisti hanno dimostrato fortissimo interesse. Ci sono quindi circa 200mila – 250mila piante con una distribuzione disomogenea dovuta alle particolari richieste ambientali della pianta, con una produzione che nel 2023 è aumentata del 30%».
L’interesse per il settore sta riguardando soprattutto Langhe e Monferrato.
«Lentamente il Piemonte si sta popolando di olivicoltori, frantoiani e di semplici appassionati. Io stesso sono titolare di un’azienda agricola e ho 800 olivi. In Langa sono sempre di più gli imprenditori che mi chiamano per avere informazioni. Presto, potrebbe essere costruito anche un nuovo frantoio. Attualmente in Piemonte ne abbiamo tre: Vialfrè e Settimo Vittone nel Torinese, Trino nel Vercellese. L’interesse per il settore riguarda anche il Saluzzese, la provincia di Cuneo e il Pinerolese».
Nel 2007 ha deciso di costituire un Consorzio per la tutela dell’olio extra vergine di oliva Piemonte e Val d’Aosta
«L’obiettivo è quello di ottenere una certificazione della qualità riconosciuta (Igp, Pat), identificare le migliori pratiche di coltivazione per l’ottenimento del miglior olio Evo possibile e per la diffusione della coltura olivicola in Piemonte. Il Consorzio raggruppa esclusivamente imprenditori agricoli che hanno scelto di intraprendere professionalmente l’olivicoltura. Attualmente i soci sono una decina rappresentanti oltre la metà delle superfici coltivate professionalmente e dislocati su tutto il territorio regionale: collina torinese, Monferrato, Saluzzese, Pinerolese, Langhe».
Collaborate anche con diversi soggetti.
«Insieme alla Fondazione Agrion e al Dipartimento di Scienze agrarie, forestali e alimentari dell’Università di Torino, stiamo portando avanti un progetto per mappare le piante secolari per cercare il profilo unico dell’olio Evo del Piemonte, i risultati sono veramente incoraggianti e positivi. Abbiamo formato assaggiatori per la creazione del primo panel regionale in Piemonte attivo presso l’Università, grazie anche alla collaborazione della Camera di Commercio di Torino. Slowfood vuole inserire nella sua guida degli oli la nostra regione, che è l’unica che manca e questo sarà il primo “lavoro” di selezione del nostro neonato panel di assaggiatori. Infine, diversi produttori sono stati premiati per l’ottima qualità del prodotto, basti pensare che il comune di Olivola nell’Alessandrino ha ottenuto il riconoscimento di “Città dell’olio”».
In tema di assaggio, com’è l’olio piemontese?
«Commercialmente leggerissimo e a bassa acidità, una vera sorpresa. Tra i partecipanti all’ultimo corso c’erano quattro imprenditori. È fondamentale, per mantenere alta la qualità, che le persone diventino consumatori più attenti e consapevoli. Quando ho fatto il corso ad Imperia ho scoperto che quello che apprezzavo nell’olio era un difetto».
Obiettivi a breve a termine?
«Vorremmo organizzare un piccolo dibattito con la Regione, l’Università, la Camera di Commercio di Torino per commentare lo stato attuale di questo settore in Piemonte, magari coinvolgendo con assaggi e messaggi diretti ristoratori, agricoltori, adulti e giovani appassionati. Insomma, un modo per presentare un settore che in questi anni silenziosamente ma con la caparbietà dell’agricoltore si è creato un suo piccolissimo spazio».
Daniele Vaira
www.ideawebtv.it
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