Giorgio Pannelli, 44 anni di esperienza olivicola ed olearia alle spalle ed oltre 300 pubblicazioni scientifiche e divulgative, ha sempre considerato l’olivo un sincero compagno di viaggio. Con cui condividere i reciproci interessi: quelli della pianta sono di esprimere il suo potenziale produttivo, quelli dell’olivicoltore di raccogliere olive facilmente e velocemente. Per poterlo fare, la potatura gioca un ruolo centrale, perché l’olivo cresce come un grande cespuglio con la chioma più efficiente sia sotto il profilo vegetativo che produttiva, ma essendo la più lontana dal terreno è la più scomoda per il produttore. Dunque bisogna fare in modo che la parte più efficiente si trasferisca in basso, così che potatura e raccolta diventino più agevoli.
Potature dell’oliveto in corso, prof. Giorgio Pannelli. Per quanto tempo possiamo ancora andare avanti tenuto conto di una temperatura che sta crescendo, anche per i cambiamenti climatici in atto?
“Finché la pianta mantiene fermo il proprio metabolismo, cosa che avviene quando la temperatura di notte resta stabilmente sotto ai 7,5 °C, meglio se intorno ai 3-4 gradi. Siamo nella fase in cui l’olivo accantona le sostanze di riserva prodotte in periferia nelle grosse strutture legnose di chioma e radici, per cui possiamo eliminare rami senza incorrere in rischi di ripresa vegetativa e danni da freddo.
Vale la pena ricordare come effettuare correttamente i tagli?
“Non guasta mai ricordarlo. I tagli vanno eseguiti nel rispetto delle peculiari modalità di cicatrizzazione dell’olivo: questa specie non cura le ferite producendo un callo di cicatrizzazione come melo, pero, noce, ecc.. L’olivo usa una strategia basata sulla morte dello strato di tessuto sottostante il taglio cui segue la formazione di barriere di compartimentazione in tutte le direzioni utilizzando le sostanze fenoliche e tanniche di cui dispone ampiamente (energeticamente molto costose), per impedire ai funghi di penetrare all’interno della pianta. Per questo va lasciato un piccolo margine tra il ramo che si taglia e quello su cui poggiava. E soprattutto niente mastice, per carità”.
Lei è un cultore del vaso policonico. Da cosa deriva questa convinzione?
“Perché la forma di allevamento a vaso policonico resta, ad oggi, il miglior compromesso possibile tra le esigenze fisiologiche dell’olivo e quelle economiche del produttore. Il ragionamento è semplice e parte dal rapporto chioma/radici: si tratta di un rapporto volumetrico da conservare possibilmente inalterato, pena uno squilibrio tra attività vegetativa, che tenderebbe a prevalere, e produttiva, che tenderebbe a soccombere. Ancora, la pianta utilizza gli apici naturali per esercitare la dominanza apicale con cui organizza e controlla l’attività dell’intera chioma. Necessita conservare una parte della porzione superiore di chioma per evitare un immediato tentativo di ripristino nel caso venga praticata cimatura o capitozzatura. In questo modo la pianta vedrà soddisfatta la sua primaria esigenza di produrre abbondanti frutti, cosi come il produttore che limitando l’attività della porzione superiore di chioma a favore di quella inferiore ricca di rami a frutto, ora meglio riforniti ed illuminati, vedrà trasferito in basso il naturale potenziale produttivo. Il tutto senza mai più ricorrere a potature drastiche (riforma) praticando, invece, semplici potature annuali di manutenzione che permetteranno di operare ad un ritmo medio di appena 10 minuti a pianta”.
Meccanizzazione al bando?
“Il vero risparmio non è nella macchina, ma nella competenza e nella cultura. Niente costi in più ed una produzione quantitativamente e qualitativamente migliore: ho esperienze dirette di ettari di Coratina nel nord barese che danno dai 250 ai 150 quintali ad ettaro a seconda dell’anno di carica o di scarica”.