Il contrasto a frodi e sofisticazioni dell’olio di oliva

In Italia le strutture di controllo tra le più avanzate e competenti
Speciali
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di Lanfranco Conte
Già docente di Chimica degli Alimenti
presso Università degli Studi di Udine

Le caratteristiche dei beni di consumo sono stabilite da specifiche norme che possono essere norme tecniche (norme ISO) o leggi (leggi nazionali e/o Regolamenti Europei); nel caso degli alimenti, l’Unione Europea ha stabilito leggi atte a difendere il consumatore da frodi che potessero mettere in pericolo la salute o atte a difendere i produttori onesti da coloro i quali applicando procedure non legali, ne ricavassero un illecito guadagno, danneggiando, tra l’altro, la reputazione dei prodotti alimentari oggetto di frodi.

Nel campo degli oli d’oliva, i mezzi per difendere il prodotto, il consumatore e i produttori onesti da frodi è sempre stato rappresentato dall’applicazione di procedure analitiche che si sono via via evolute seguendo i progressi delle conoscenze scientifiche e  delle apparecchiature analitiche.

Va preliminarmente detto che le caratteristiche degli oli si possono dividere in due grandi categorie: di qualità e di purezza. Il rispetto di entrambe è obbligatorio, la differenza tra queste due categorie è illustrata dalla figura 1: le caratteristiche di qualità sono per così dire “declinabili”, ovvero consentono una “rankizzazione “ dei prodotti, i parametri di genuinità, o purezza, invece, non prevedono alcuna scala d classificazione, se il valore per una determinata caratteristica eccede il limite di legge, il prodotto non è classificabile in nessuna categoria prevista per gli oli ottenuti dalle olive o per quella specifica categoria di olio d’oliva.

Figura 1: Differenza tra le caratteristiche di qualità  (A) e di purezza  (B) degli oli d’oliva

Prima dello sviluppo delle tecniche analitiche separative (cromatografiche), ci si affidava alla cosiddetta “Chimica degli indici”, in cui un prodotto veniva posto n condizioni sperimentali volte a mettere in evidenza specifici comportamenti, ad esempio mediante reazioni cromatiche (Isidoro-Pavolini o Villavecchia-Fabris per gli oli di semi, Halphen per gli oli di cotone, Kreiss per la rancidità ecc.), o osservando la formazione di precipitati (saggio di Vizern, di Carrocci-Buzzi per gli oli di sansa e di  arachide) .

Lo sviluppo delle tecniche cromatografiche diede enorme impulso alla messa a punto di metodi analitici sempre più efficaci nella scoperta di adulterazioni degli oli d’oliva, talvolta partendo da quanto osservato con i metodi precedentemente citati, ma riuscendo a stabilire una correlazione tra presenza di oli estranei e composizione chimica degli stessi e degli oli d’oliva.

A livello nazionale, le tecniche cromatografiche vennero adottate come metodi ufficiali sino dagli anni ’60, e la maggior parte dei metodi italiani vennero recepiti dalla successiva normativa comunitaria (Reg(CEE) 2568/91 e successive modificazioni ed integrazioni) , nonché dalle norme internazionali (Metodi COI); per la messa in evidenza di oli estranei, di semi, si palesò subito la grande utilità della determinazione della composizione in acidi grassi, inizialmente condotta mediante gas cromatografia con colonne impaccate, che pur presentando un potere separatore accettabile per questo scopo, avevano tempi d analisi piuttosto elevati. Tuttavia la peculiare composizione degli oli d’oliva caratterizzata dalla predominanza dell’acido oleico rendeva questa determinazione particolarmente affidabile; in seguito, la disponibilità di semi di cartamo e di girasole ad elevato contenuto di acido oleico ottenuti da selezione genetica già nel 1967 presso l’Università di Davis, attenuò la potenza probatoria di questa analisi. Si dovette ricorrere ad altro, ovvero all’analisi degli steroli, anche questa inizialmente realizzata con colonne impaccate, con conseguente ridotto potere separatore. Venne poi migliorata con l’applicazione delle colonne capillari che consentirono la separazione di un elevato numero di picchi attribuiti a singoli steroli mediante la spettrometria di massa che nel frattempo era stata sviluppata.

La determinazione degli steroli sembrò avere messo fuori gioco la possibilità di miscelare oli di semi ad oli d’oliva, ma qui si aprirono due nuovi scenari; il depauperamento del contenuto di steroli degli oli di semi e la miscelazione con olio di sansa di oliva.

Nel primo caso si sfruttò la presenza di isomeri trans- degli acidi grassi (in natura, tutti gli acidi grassi da biosintesi vegetali sono in configurazione cis-),  che era già stata messa in evidenza da Morchio e Mariani in relazione a processi tecnologici atti ad abbassare i valori di assorbimento nell’UV di oli di oliva che eccedevano i limiti per questo parametro analitico: anche la tecnologia applicata per rimuovere parte degli steroli, piuttosto violenta, portava infatti alla formazione di questi isomeri degli acidi grassi.

Il limite per la determinazione dei trans– isomeri degli acidi grassi, ottenuta grazie  all’uso delle colonne capillari, venne stabilito inizialmente come inferiore a 0,03%, poi si tenne conto delle caratteristiche di ripetibilità e riproducibilità del metodo che non risultava affidabile a quei livelli e si dovette accettare un limite di 0,05%.

In seguito, la tecnologia di raffinazione consentì di avere contenuti di acidi grassi trans- ancora più bassi e ciò rese necessario identificare nuovi marcatori per la presenza di oli di semi depauperati del contenuto di steroli; Lanzon e collaboratori nei primi anni ’90, partendo dagli studi di Niewiadomski dei primi anni ’70, proposero la determinazione degli stigmastadieni, prodotti di disidratazione degli steroli, per la messa in evidenza della presenza di oli di semi depauperati degli steroli. Anche in questo caso, il limite venne via via abbassato, tenendo conto del miglioramento della strumentazione scientifica e della professionalità degli addetti al controllo che nel tempo acquisiscono sempre maggiore familiarità con un metodo analitico; oggi il limite per gli oli extra vergini è stabilito a 0,05 mg/kg che garantisce un più che accettabile margine di sicurezza nella evidenziazione di frodi.

Nel caso della miscelazione con oli di sansa, la composizione degli acidi grassi risultò, prima della determinazione dei trans– isomeri, non utile, così come quella degli steroli. Si dovette allora identificare qualche componente caratteristico dei soli oli di questa categoria. Si sfruttò il fatto che la sansa di oliva contiene una elevata quantità di epicarpo, la cui composizione chimica è caratterizzata da una elevata presenza dei dialcoli terpenici eritrodiolo ed uvaolo. In base a tale constatazione, nei primi anni ’70 si standardizzò il metodo per la determinazione ed il dosaggio di eritrodiolo ed uvaolo (Jacini e Fedeli) il cui contenuto per tutti gli oli vergini venne fissato a 4,5% calcolato sulla base delle percentuali degli steroli; differente il discorso per gli oli raffinati che in raffinazione sono soggetti alla perdita selettiva degli steroli, il che comporta per effetto di come venga realizzato il calcolo, ad un fittizio aumento del contenuto di eritrodiolo ed uvaolo. Per questo motivo, già dagli anni ’80, in Italia le aziende misuravano il contenuto assoluto di questi composti accanto al valore percentuale. Si dovette attendere il 2021 perché il COI e di conseguenza la UE accettasse questo approccio stabilendo per i raffinati un limite di 75 mg/kg quando il valore percentuale eccedesse il 4,5%.

Anche la determinazione dei dialcoli terpenici nel tempo risultò meno potente nel mettere in evidenza la miscelazione con sansa e di nuovo si ragionò sulla composizione della frazione lipidica dell’epicarpo delle drupe di olivo, focalizzandosi sulla presenza di cere. Queste ultime, col processo di saponificazione messo in atto per separare la frazione insaponificabile da cui si ottengono gli steroli, originano per idrolisi gli alcoli lineari a lunga catena denominati alcanoli. Questi vennero quindi un parametro analitico ufficiale (Tiscornia et al), tuttavia l’applicazione di questo parametro a molti altri campioni evidenziò come oli genuini, principalmente della Grecia e del Salento presentassero contenuti di alcanoli eccedenti il limite (Grob et al.).

Grazie allo sviluppo di tecniche cromatografiche avanzate fu possibile chiarire come in questi oli il contenuto di cere fosse basso, accanto però ad un elevato contenuto di alcanoli liberi. Pertanto venne proposto ed adottato il metodo per la misurazione delle cere, senza saponificazione; ciò implica però che l’analisi gascromatografica debba obbligatoriamente essere condotta con una iniezione in colonna e non con la classica iniezione split. Ciò purtroppo non è ancora ben chiaro a molti operatori e comporta risultati difformi che vengono chiamati a supportare la richiesta di modifiche del limite per tutelare la produzione di determinate aree geografiche; fu questo i motivo che portò ad eliminare dal computo delle cere, la cera a 40 atomi di carbonio.

La frode mediante miscelazione con oli ad elevato contenuto di acido oleico o con composizione sterolica molto simile agli oli d’oliva ha portato allo sviluppo dell’analisi della composizione dei trigliceridi, anche in questo caso grazie allo sviluppo delle tecniche cromatografiche quali la cromatografia in fase liquida ad alta pressione (HPLC): sfruttando il fatto che la biosintesi dei trigliceridi segue percorsi biochimici differenti in seme e in frutto ed anche all’interno di differenti famiglie botaniche, sia pure partendo da composizioni di acidi grassi identiche, si è messa in relazione queste ultime con quella dei trigliceridi, calcolando la composizione di questi ultimi coerente con la composizione degli acidi grassi e valutandone lo scostamento tra teorica e sperimentale (Cortesi et al., Fedeli et al.).

In pratica, si esegue un’analisi HPLC dei trigliceridi, una gascromatografica degli acidi grassi, poi con l’applicazione di una serie di passaggi matematici a quest’ultima, si ottiene la composizione teorica dei trigliceridi; si confronta questa co quella ottenuta e se ne valuta lo scostamento che deve essere espresso come valore assoluto in quanto si sta valutando la distanza tra due punti, se lo scostamento è superiore a |0,2|, allora c’è presenza di oli estranei.

In conclusione, il protocollo analitico per la valutazione della qualità e della purezza degli oli d’oliva è molto articolato e sicuramente richiede professionalità adeguatamente formate ed allenate, i metodi esistono, ma vanno applicati seguendo attentamente quanto prescritto e ponendo grande attenzione ai punti critici presenti, grande importanza hanno le fasi di preparazione del campione e di interpretazione del dato analitico.

La ricerca scientifica prosegue verso metodi sempre più efficaci ed affidabili, ma nulla si realizza in poco tempo e molti approcci innovativi proposti che spesso hanno mosso facili entusiasmi ancora necessitano di essere attentamente esaminati e collaudati. Il controllo del rispetto delle specifiche di manufatti umani è relativamente facile, ma nel caso di prodotti naturali, è la natura che le determina. Quando poi si tratta di prodotti come l’olio extra vergine di oliva caratterizzato dal fatto che legalmente nulla può essere fatto per modificarne le caratteristiche, il controllo diventa particolarmente critico.

Dal punto di vista invece delle forze in campo, va riconosciuto che l’Italia sia oggi probabilmente anche nel campo degli oli d’oliva il paese o uno dei paesi con strutture di controllo tra le più avanzate e professionalmente competenti.

Bibliografia

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Tags: frodi, in evidenza, Lanfranco Conte, sofisticazioni

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