La preparazione delle miscele tra acqua e prodotti fitosanitari o fertilizzanti è un aspetto delicato: in alcuni casi l’acqua svolge l’importante ruolo di solvente, in altri diventa un diluente.
L’acqua funge da solvente quando consente alle sostanze – solide o comunque dense – di dissolversi in essa: in questo modo è possibile cospargerle o nebulizzarle nelle chiome degli alberi. L’acqua diventa, invece, un diluente quando – oltre che a diluirle – modifica o trasforma la forma chimica originaria delle sostanze immesse. E con agrofarmaci e fertilizzanti quest’ultima possibilità potrebbe rivelarsi un aspetto non tanto casuale, visto che ad incidere sono sia la composizione dell’acqua, sia quella dell’agrofarmaco o del fertilizzante immesso.
Solitamente le acque utilizzate per creare miscele fitosanitarie o fertilizzanti – prelevate direttamente da canali o da acquedotti – hanno elevati contenuti di carbonati, che le portano a essere alcaline, con valori che possono superare il 7,5.
In Italia le acque hanno generalmente un pH tra alcalino e molto alcalino e sono definite acque dure, molto mineralizzate, quindi, ricche di carbonati di calcio e di magnesio. Diventano ancor più alcaline durante il periodo estivo quando possono crearsi concentrazioni di elementi alcalinizzanti, come calcio, magnesio, potassio, silicio e sodio.
Accade così che prodotti fitosanitari o fertilizzanti che richiederebbero, per loro composizione, un ambiente di miscela acido, trovandosi in acqua alcalina registrerebbero fenomeni di idrolisi alcalina. L’idrolisi alcalina è una reazione chimica, dove dei gruppi di atomi con carica negativa, che sono presenti nell’acqua, sono in grado di separare o inattivare altri gruppi con carica positiva, che compongono gli agrofarmaci o i fertilizzanti, modificando la composizione di questi ultimi. Da questa reazione, gli agrofarmaci o i fertilizzanti escono trasformati in composti chimici più semplici: a questo punto diverrebbero poco adatti o inutili a svolgere le originarie funzioni. Ciò porta a una perdita dell’attività dei prodotti impiegati, che restano privi delle capacità di agire contro i patogeni da contrastare, come insetti e funghi, o di diminuire la loro capacità fertilizzante.
Per misurare il pH di un’acqua si ricorrere al piaccametro, uno strumento di facile uso, che misura l’acidità o la basicità, fornisce risultati rapidi e ripetibili, ha un’ampia gamma di modelli e per ogni fascia di prezzo. Valori di pH sono dati anche da cartine indicatrici universali, tipo tornasole: sono indicatori portati su strisce di carta, che cambiano colore quando sono immerse in sostanze acide o basiche, sono facilmente reperibili sul mercato e a costi limitati.
Molti agrofarmaci e concimi fogliari, ad esempio, per compiere in maniera adeguata la loro azione ed essere più efficaci, richiedono un pH della miscela tra 5,5-6,5, che migliora l’assorbimento dei prodotti stessi e massimizza la loro attività nei confronti dei patogeni. Nel caso si dovesse utilizzare un agrofarmaco o un fertilizzante e fosse necessario abbassare il pH dell’acqua rendendola leggermente acida, i prodotti a disposizione vanno dall’aceto all’acido citrico. Si può poi passare a prodotti commerciali più complessi.
È importante portare alla pianta i prodotti fitosanitari o fertilizzanti nelle condizioni a loro più adatte, in questo modo sono assorbiti più facilmente e in tempi più brevi. Si evita pure il pericolo che una loro prolungata esposizione all’aria, alla luce, alle entità biologiche presenti nelle cuticole di foglie e rami, possa diminuire le loro potenzialità per evaporazioni o ad alterazioni.
Diventa così importante, prima di avvalersi di un agrofarmaco o di un fertilizzante, informarsi accuratamente sulle sue caratteristiche e sui corretti modi di utilizzo, così da permettergli una piena efficacia.
Direttore AIPO
Associazione Interregionale
Produttori Olivicoli