Fermatevi un paio di ore fuori da un frantoio con i produttori in attesa di frangere le olive. A chi esce dal frantoio la domanda classica che viene posta non è “Che profumo ha il tuo olio?”, oppure “È molto amaro? È piccante? È dolce?”, o ancora “Hai trovato dei difetti? Avevi la mosca? Ti ha rovinato l’olio?”
No! La domanda classica è: “Quanto ti ha reso?” A seconda della risposta nascono una serie di considerazioni a volte molto fantasiose: “Nell’altro frantoio la resa è più alta”, “Sì, ma non è a freddo perché scalda le olive”, “Un mio amico ieri ha fatto il 22% di resa”, “E’ perché le ha lasciate asciugare prima di portarle in frantoio”, “Si ma l’anno scorso ha fatto più freddo”, “No è perché il frantoiano aveva fretta e ha aumentato la temperatura di lavorazione”…
Non sparate sul pianista
Potrei continuare per un bel po’, ma i brontolamenti sono sostanzialmente imperniati sulla resa e sulla convinzione che il frantoiano sia un malandrino che alza e abbassa le temperature in base alle sue esigenze, rovinando l’olio o trafugando le olive.
In realtà il frantoiano che da anni svolge il suo lavoro è una persona che trasforma le olive in base alle indicazioni del cliente, al tipo di macchina, alle condizioni climatiche e alla sua esperienza: è un professionista in tutto e per tutto e come tale va considerato. Il frantoiano corretto non ha interesse a rovinare le olive (perderebbe il cliente e tutte le persone cui il cliente racconta la sua disavventura), non ha interesse ad aumentare o diminuire le rese (è pagato in base al frutto fresco che entra in macchina e non in base al risultato), non ha interesse a ”rubare” le olive.
Chiarito questo aspetto, quando si portano le olive in frantoio ci si preoccupa principalmente di ottenere la maggior quantità di olio. Questo è giusto, perché ottenere da cento chili di olive 10 litri di olio o ottenerne 15 vuol dire incrementare la resa (e quindi il guadagno) del 50% a parità di costi di produzione. Ma è anche vero che, se si vuol produrre un olio extravergine di qualità, si deve ottenere anche la maggiore quantità di profumi, la maggiore quantità di polifenoli e al tempo si deve evitare l’insorgenza di difetti o di principi ossidativi. Senza entrare troppo nello specifico, si può ragionevolmente affermare quanto segue.
Gira che ti rigira
Più il frangitore è veloce e i fori della griglia sono piccoli, maggiore è la quantità di olio ricavata perché si verifica una maggiore frantumazione delle olive ed una conseguente rottura più spinta delle cellule. Più la temperatura di lavorazione (frangitura, gramolatura, separazione) della pasta di olive è elevata, maggiore è la quantità di olio che si estrae: questo sostanzialmente accade perché più la temperatura si alza e più l’olio diventa fluido e facile da separare.
Più i tempi di gramolatura e separazione sono lunghi, maggiore è la quantità di olio che si riesce a estrarre: questo perché le gocce di olio nella lavorazione aumentano di dimensione rendendone più facile l’estrazione. Più si diluisce la pasta, maggiore è la quantità di olio estratta, perché la polpa diventa meno viscosa favorendo così la separazione dell’olio nel decanter.
Pertanto, se l’unica esigenza è di aumentare la resa, è sufficiente recarsi presso un frantoio a ciclo continuo e chiedere all’operatore di allungare il più possibile i tempi di gramola e di separazione, alzando contemporaneamente le temperature e aggiungendo in ogni fase elevate quantità di acqua calda.
Quantità e qualità
Se però l’esigenza è di ottenere un olio extravergine di oliva con determinate qualità chimiche e organolettiche, si deve tener ben presente che:
1) le maggiori quantità di fenoli totali si ottengono con lavorazioni intorno ai 25°C e comunque non superiori ai 30°C in quanto al di sopra di questo limite in presenza di aria si attivano fenomeni polifenolossidasi (PPO) e perossidasi (POD) che si traducono in una consistente perdita del patrimonio antiossidante per effetto dell’ossidazione enzimatica dei polifenoli;
2) una lavorazione della pasta a una temperatura alta in presenza di ossigeno comporta una violenta accelerazione dei processi ossidativi che solo in minima parte vengono contrastati dai polifenoli;
3) i polifenoli sono idrosolubili: aggiungendo acqua alla lavorazione si rischia di ottenere la loro dispersione nelle acque che vengono allontanate con la sansa;
4) frangendo molto velocemente c’è il rischio di aumento della temperatura e quindi di ossidazione delle paste, ma soprattutto c’è il rischio che l’olio si emulsioni con le acque di vegetazione, ottenendo così la dispersione dei polifenoli;
5) i profumi (e cioè tutte le sensazioni olfattive positive) si ottengono con lavorazioni comprese tra i 20°C e i 25°C, che favoriscono l’attivazione di alcuni processi enzimatici, in particolare la lipossigenasi e l’idrossiliasi; temperature più elevate di gramolazione riducono l’attività di questi enzimi e temperature più basse non ne consentono l’attivazione dei processi.
Giova ricordare che queste sostanze (fenoli totali e sostanze aromatiche) sono responsabili in un olio extravergine dei profumi caratteristici (carciofo, mandorla, pinolo, erba, …), dei gusti tipici (amaro, piccante, dolce…), delle proprietà biologiche quali le capacità antiossidanti, conservanti e salutari. Pertanto, per produrre un “buon extravergine”, si deve per forza mettere in atto una specie di compromesso che consenta di ottenere durante la lavorazione la maggiore quantità di profumi, di polifenoli e di olio e al tempo stesso non permetta l’insorgenza di difetti o di principi ossidativi, scegliendo un intervallo di tempo ottimale che può essere più o meno ampio in funzione delle caratteristiche delle olive ed in relazione alle condizioni di temperatura e di lavorazione. Questo compromesso prevede tempi di lavorazione ragionevolmente brevi e comunque non superiori ai 40 minuti, mantenendo temperature basse e comunque inferiori ai 30°C.