L’olivo è una delle specie più diffuse al mondo, in particolar modo nel bacino del Mediterraneo, terra da sempre vocata alla sua coltivazione in virtù delle condizioni pedoclimatiche favorevoli al suo sviluppo.
Tra le pratiche colturali maggiormente ecocompatibili si annovera l’inerbimento, ossia il rilascio di un manto erboso sul terreno agrario naturale o artificiale che apporta diversi benefici alle proprietà fisico-chimiche e biologiche del suolo.
Nei climi meridionali, da sempre, il cotico erboso deve essere “interrotto” nei periodi primaverili-estivi a causa della siccità che andrebbe ad aumentare considerevolmente la probabilità di incendi negli arboreti. Tale pratica, poco usata in passato, riveste un ruolo importante e sempre più in uso nell’agricoltura moderna sia perché normata nella nuova Politica Agricola Comune sia per una nuova proiezione ecocompatibile dei suoli agrari, in virtù anche delle nuove frontiere sul sequestro di carbonio nei suoli.
L’ecoschema 2 – inerbimento delle colture arbore – prevede il mantenimento dell’inerbimento spontaeno o seminato nell’interfila delle colture arboree o, per le colture arboree non in filare, all’esterno della proiezione verticale della chioma. È quanto citato in un documento ufficiale del MASAF (Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste), in cui sono riportati gli impegni di carattere ambientale della PAC 2023-2027. Ricordando che la gestione delle malerbe non può prescindere dalla conoscenza della loro fisiologia e non si può attuare mediante lavorazioni che vadano polverizzare i primi strati del suolo (vedi “fresatura”), andiamo a comprendere meglio gli effetti benefici dell’inerbimento.
Il rilascio di un cotico erboso sul suolo, con periodici sfalci o trinciature che creino un disturbo alla loro crescita, vanno a creare in primis uno strato vegetale che, con il tempo, determinerà un’azione pacciamante, andando ad ostacolare la germinazione nella banca dei semi contenuta nel suolo.
Un’altra caratteristica conferita dalla presenza permanente del capillizio radicale delle infestanti è quella di evitare la lisciviazione dei nitrati, nota frazione chimica del suolo che difficilmente viene trattenuta dallo scambiatore a causa della sua carica negativa (NO3-, ecc.).
L’alta presenza di malerbe costituisce anche una difesa del suolo contro l’erosione, andando a gestire l’intensità delle acque meteoriche, riducendone così l’avanzamento, soprattutto in condizioni di elevata pendenza. Nello stesso tempo, lo strato di infestanti, rappresenta una copertura fotosintetizzante che contribuisce all’asportazione di CO2 dall’atmosfera con conseguente stoccaggio nel suolo.
Ricordiamo che l’organo di riserva per eccellenza nei vegetali è rappresentato dall’apparato radicale, pertanto tutti i fotosintetati vengono convogliati nei siti di stoccaggio (“sink”), rappresentati generalmente dai frutti, foglie in accrescimento e soprattutto da radice.
Allo stato attuale l’uso di coperture vegetali è vivamente consigliato nell’agroecosistema proprio per i vantaggi legati al miglioramento della struttura del suolo, una migliore fertilità biochimica e una maggiore diversità microbica rispetto alle lavorazioni convenzionali.
Solo nel caso di nuovi impianti di olivo (o di altre specie arboree) sarà importante gestire l’eventuale competizione per l’acqua e sali minerali nella zona esplorata dalle radici, cercando in caso di ritardare la densità della copertura vegetale o di optare verso una minima lavorazione (minimum tillage), che andrebbe in linea con l’interramento dei fertilizzanti solo nella porzione adiacente il colletto.
La letteratura è ricca di lavori che valutano l’effetto di miscugli di varie specie o di vegetazione spontanea (messi a confronto con le lavorazioni convenzionali) sull’erosione del suolo, le proprietà fisico-chimiche e biologiche con importanti risultati a favore dell’inerbimento, pratica colturale che farà parte di quel know-how che servirà per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.
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