“Chi continua a diffondere false informazioni sul superintensivo, oltre a fare un danno all’olivicoltura, andrebbe denunciato per calunnia. Se poi queste informazioni sono diffuse non da arboricoltori, ma da ingegneri elettronici, c’è anche l’aggravante di incompetenza”.
Non usa mezzi termini il prof. Salvatore Camposeo (nella foto), ricercatore e ordinario di Arboricoltura Generale e Coltivazioni Arboree presso l’Università di Bari, il padre della Lecciana, la nuova varietà frutto dell’incrocio tra Leccino e Arbosana che sta per essere licenziata come resistente alla Xylella, al pari della Favolosa (mentre per il Leccio del Corno è stata riconosciuta la tolleranza come per il Leccino).
Non gli va giù l’ultima ricerca rilanciata su una rivista scientifica internazionale. Che, a suo dire, ha già ottenuto una serie di critiche da alcuni dei più autorevoli centri di ricerca in olivicoltura del pianeta. E che, comunque, non influisce sulla grande soddisfazione per aver brevettato una varietà che potrà contribuire alla rigenerazione olivicola del Salento.
Prof. Camposeo, partiamo dalle cose belle: che significa per l’Università di Bari questo riconoscimento?
“È un premio alla volontà di fare ricerca e innovazione e un riconoscimento all’istituzione che ci ha creduto ed ha creduto nei suoi ricercatori, accrescendo così il prestigio dell’ateneo”.
Che caratteristiche ha questa Lecciana?
“Straordinarie: vigoria medio-bassa, portamento eretto e chioma di buona densità, una precoce entrata in produzione (2 anni), alta allegagione. Nella raccolta meccanica i danni ai frutti ed ai rami sono limitati, la pezzatura degli stessi frutti è buona. Registra un’ottima resistenza al freddo, ha una medio bassa sensibilità alla mosca. A livello produttivo registriamo una progressiva crescita che va dalle 4 tonnellate ettaro al secondo anno, per salire a 9 al quarto, 12 al sesto e una media di 15 tonnellate dal settimo in poi, con una contenuta alternanza. Per la qualità sono ottime le caratteristiche chimiche e sensoriali, così come la shelf-life. Sotto il profilo nutraceutico ha tutte le caratteristiche per potersi fregiare dei claim salutistici previsti dall’Efsa”.
Si parla di superintensivo in olivicoltura e nascono le divisioni. Come lo spiega?
“Se una limitazione esiste oggi per il superintensivo non è colturale, ma culturale di approccio. Chi si avvicina a questa tipologia d’impianto deve avere una mentalità imprenditoriale frutticola, perché bisogna applicare all’olivo tutti i criteri della frutticoltura e disporre di assistenza tecnica specializzata, condizione ineludibile”.
Partiamo con le obiezioni. Il superintensivo non ha niente a che vedere con l’identità italiana.
“Tabù da sfatare. L’indicazione in etichetta della dicitura “Prodotto in Italia” o “100% prodotto in Italia” indica l’origine dell’olio ottenuto da olive raccolte nel nostro paese. La Lecciana, coltivata e molita in Italia, fornisce a tutti gli effetti di legge olio italiano”.
Seconda obiezione, forse la principale: in epoca di cambiamenti climatici il superintensivo non è compatibile.
“In realtà, in termini di impronta idrica è stato ampiamente dimostrato che il superintensivo è più efficiente del tradizionale, con un consumo inferiore del 20% sia per unità di produzione che per unità di superficie. Stesso discorso per la carbon foot print: il superintensivo ha una capacità di cattura della Co2 nettamente superiore al tradizionale”.
Altra obiezione: con il superintensivo si perde identità paesaggistica e biodiversità.
“Con il superintensivo che incide per lo 0,5% nella superficie olivicola italiana? Ma scherziamo? Forse è più corretto dire che paesaggio e biodiversità si perdono con lo stato di forte abbandono in cui versa il sistema olivicolo tradizionale. Oggi l’abbandono arriva al 50%, con punte anche superiori nel centro Italia. E questo non certo per l’avvento del superintensivo, che come detto incide minimamente. E vorrei aggiungere qualcos’altro, a questo proposito”.
Dica pure!
“Se 530 varietà olivicole presenti oggi in Italia significano valorizzare la biodiversità, i numeri ci dicono l’esatto opposto: tutte le Dop e Igp messe insieme producono il 3% di olio, il 50% dell’olio è dato da appena 5 cultivar. Se invece significano dare valore al settore, anche in questo caso i numeri sono impietosi: il tasso di produzione è sceso del 30% nell’ultimo quinquennio, appena il 5% degli oliveti ha meno di 40 anni, solo il 12% è irrigata, quasi la metà delle aziende olivicole non raggiunge il 5% del valore economico”.
Continuiamo a fare l’avvocato del diavolo: il superintensivo lo adottano imprenditori di altri settori che si affacciano all’olivicoltura solo per facili guadagni.
“Mi spieghi! L’imprenditore olivicolo tradizionale lavora per beneficenza? È ora di finirla: il sostegno pubblico in olivicoltura serve per rilanciare il settore, non certo per adagiarsi o, peggio, parassitizzare Unione europea o Regioni. C’è anche una questione etica da rispettare”.
L’olio da oliveti tradizionali è più buono, questo non lo può negare!
“E chi lo ha detto? Lo avete sentito un olio prodotto da un superintensivo? Premesso che la qualità dell’olio non la fa la tipologia di allevamento, ma un insieme di fattori, voglio solo sottolineare che dal prossimo anno il premio Il Magnifico avrà una sezione proprio dedicata ai superintensivi, che sanno anch’essi essere di una qualità eccelsa”.
Ma, per concludere, è proprio convinto che questa Lecciana e gli altri superintensivi siano la risposta giusta alla crisi del settore olivicolo-oleario?
“Se vogliamo veramente una moderna olivicoltura occorre tenere presenti tre requisiti che coinvolgono l’intera filiera, dal campo alla bottiglia: mentalità imprenditoriale, mentalità frutticola, assistenza tecnica specializzata. Personalmente, parlando di Lecciana, mi fa piacere registrare che un vivaio in Spagna ha già prenotate tutte ed 8 milioni le piante di Lecciana in produzione, così come noto con grande soddisfazione che il sistema colturale superintensivo sta offrendo migliori risposte sotto il profilo degli attacchi di fitofagi e patogeni. Noi continuiamo la nostra ricerca. Abbiamo pronte altre due nuove varietà che sono state depositate in attesa di brevetto: la Coriana che ha come padre la Koroneiki e madre la Arbosana e la Elviana che ha come madre sempre l’Arbosana e come padre la portoghese Blanqueta de Elvas”.
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