“Il potere pubblico ha umiliato per decenni l’olivicoltura italiana, favorendo importatori e confezionatori di bottiglie d’olio straniero. Altri Paesi, ed è il caso della Spagna, hanno invece chiesto ed ottenuto nel tempo risorse europee per diventare oggi leader mondiali nella produzione olearia”.
Giampaolo Sodano (nella foto), presidente dell’Associazione Mastri Oleari, non le manda certo a dire. Ma non per iscriversi al “club dei piagnoni” (Savonarola docet), piuttosto per rilanciare le richieste di un settore che – in un contesto sociale e culturale, profondamente cambiato da pandemia, crisi economica e guerra – può tornare ad essere protagonista con le sue indiscusse peculiarità
Ed allora ecco le richieste: adeguare la legislazione nazionale a quella della Regione Puglia che ha previsto la figura del Mastro Frantoiano dando piena dignità a tale professionalità fondamentale per la qualità dell’olio italiano; utilizzare ulteriori risorse del Pnrr per rottamare e ammodernare i frantoi perché i 100 milioni previsti sono largamente insufficienti; attivare una vera campagna di comunicazione sugli aspetti nutraceutici e salutistici dell’extravergine nazionale.
Articolato, ma suggestivo e concreto, per chi avrà la bontà di continuare la lettura, il suo ragionamento.
“Con pandemia e guerra il mondo è cambiato, l’economia e la produzione delle merci sono cambiate, gli scambi e gli aspetti commerciali tra ovest ed est sono cambiati. Tornare indietro è impossibile. Non si torna più alla normalità di prima, va costruita una nuova normalità. In questi ambiti è cambiata anche la tendenza dell’agroalimentare, con un atteggiamento del consumatore più attento a qualcosa a cui non aveva mai pensato di dover ricorrere: la salubrità del cibi. L’affermarsi dei prodotti biologici ne è un chiaro elemento. Salute nell’alimentare e benessere sociale sono concetti fatti propri anche dalle aziende. I bilanci sostenibili, l’attenzione all’emergenza ambientale, il richiamo al riciclo e ad un’economia circolare hanno influenzato da un punto di vista culturale, ma anche strutturale, il mondo della produzione agroalimentare. Molte aziende vendono il proprio prodotto mettendo in evidenza gli investimenti che stanno compiendo per riconvertirsi in azienda verde (trasporti, materiali riciclati, ecc.). Questa tendenza ha investito anche la grande distribuzione, che ha avvertito i nuovi bisogni del consumatore. Questo è il contesto in cui l’olio extravergine si colloca.
Noi sappiamo bene il valore salutistico e nutraceutico dell’extravergine e dunque l’importanza che tali aspetti possono avere nella nuova visione del consumatore. È però doveroso per noi occuparci della filiera, di tutta la filiera. Quando una associazione di frantoiani viene ospitata per un’audizione al Senato e presenta un documento in cui si fa carico di sollecitare nuovi investimenti del Pnrr nel settore agroalimentare, dico che fa bene, perché aumentare la produzione di olive nel paese è una cosa giusta e necessaria, ma si dimentica di sottolineare l’importanza della qualità nella trasformazione. Le olive non sono di per sé olio, bisogna lavorarle. Il tipo di tecnologie e di professionalità che trasforma le olive in olio di qualità sta nella capacità e nella cultura del mastro oleario che preside a questa trasformazione. Servono sì olive sane, ma anche professionalità qualificata, tecnologia flessibile e adeguata a seconda del tipo di olive e a seconda dell’olio che si vuole produrre.
Per questo credo che il legislatore dovrebbe innanzitutto estendere a livello nazionale ciò che ha anticipato la Puglia (che produce più della metà di olio) dove è stata approvata una legge che istituisce l’Albo professionale dei mastri oleari, in un paese per altro che ha un Ordine professionale per ogni attività. Perché quella del frantoiano è una professione che richiede cultura sulla chimica e sulla tecnologia necessaria per fare alta qualità, contribuendo così alla buona salute dei cittadini.
Chiarisco il concetto: la legislazione europea dispone che nell’etichettatura figuri l’ultimo operatore che ha trattato quel prodotto. In Italia, dove una grande quantità di olio è portata dall’estero e confezionata nel nostro paese (grazie ad un potere pubblico che ha umiliato l’olivicoltura, favorendo solo importazioni e confezionatori), vale l’ultimo operatore che è il confezionatore, Nel caso del 100% italiano, viceversa, l’ultimo operatore è sempre il frantoio. Dare dignità a questa professionalità è fondamentale, anche finanziando corsi di formazione e aggiornamento, così da fare del mastro oleario quello che è l’enologo nel settore vinicolo. Lo solleciterò all’Aifo che ha chiesto l’audizione al Senato per colmare questa lacuna e per chiedere maggiori finanziamenti per i produttori agricoli, ma anche per i frantoiani. In Italia abbiamo 4.600 frantoi, 100 milioni per l’ammodernamento non coprono che una minima parte. Ed infine, in quel progetto di filiera che richiamavo, va sostenuta con forza la comunicazione sulle straordinarie proprietà salutistiche e nutraceutiche dell’extravergine italiano, confortate sempre più da nuovi studi scientifici e rispetto alle quali i consumatori stanno mostrando grande interesse. Va sostenuta con forza affinché anche la grande distribuzione, che fa parte a tutti gli effetti di questa filiera, e le altre reti di vendita possano trovare i loro legittimi vantaggi proponendo un olio italiano di qualità negli scaffali”.
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