L’olio d’oliva va sempre filtrato! La morchia, come riconoscerla

Gocce d'olio: la rubrica di Marco Antonucci
Gocce d'olio
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La maggior parte dei prodotti in commercio subisce ordinari processi di filtrazione (vino, latte, succhi di frutta) o di setacciatura (farine, zuccheri). Questo perché normalmente non si acquista vino bianco o rosso con il fondo, farina con residui di lavorazione, o spremuta di arancia con gli scarti dei nocciolini.

Questa regola generale, questa ovvietà, non sembra valere quando si acquista l’olio perché sovente al consumatore viene fatto credere che un extravergine torbido, sia migliore di uno filtrato. E questo prodotto torbido è spesso denominato impropriamente mosto o olio novello, due termini rubati all’enologia che nulla hanno a che fare con l’olio. Resta il fatto che un olio non filtrato è un olio torbido, un prodotto che presenta una notevole quantità di particelle in sospensione contenenti sì sostanze aromatiche e fenoliche, ma anche e soprattutto sostanze la cui capacità ossidante è direttamente proporzionale al grado di densità e cioè di torbidezza.

Una semplice prova

Mi spiego meglio: se dall’olio appena fatto rimuoviamo queste particelle in sospensione e le appoggiamo su un piatto, inizialmente avremo un piacevole profumo di olio. Questa specie di melma verde, se fresca, può essere usata per friggere o condire una pasta. Ma se la lasciamo nel piatto, nel giro di poco tempo inizierà a fermentare e diventerà rancida.

La stessa cosa accade se la lasciamo nell’olio e quindi non eseguiamo la filtrazione: in un primo tempo le particelle in sospensione nell’olio non creano problemi, ma dopo qualche mese il torbido si depositerà sul fondo e inizierà a decomporsi, conferendo sensazioni organolettiche di fermentato, di marcio, di morchia, nome corretto di questo difetto.

Questione di tempi

La poltiglia ci mette un po’ di più a fermentare se dispersa in olio, perché ovviamente questo fa da protezione all’aria e agli agenti che innescano la decomposizione. Pertanto se l’olio è consumato in breve tempo (non oltre tre/quattro mesi dalla produzione), in normali condizioni di conservazione non sorgono problemi; se però è destinato a durare più a lungo è fondamentale filtrarlo subito dopo la produzione, utilizzando macchinari che non espongano l’olio all’aria, simili a quelli che si usano per il vino. E non pensate che sia sufficiente il passaggio nel decanter o nel separatore : anche se l’olio sembra aver perso quasi tutte le sue impurità, per poterlo conservare correttamente dobbiamo comunque effettuare un passaggio finale di filtrazione.

La filtrazione

Il sistema più utilizzato è quello a filtri a pannelli. Si tratta di una macchina derivata dall’enologia, composta da una serie di piastre opportunamente sagomate solitamente in Moplen o Nylon, poste una a ridosso dell’altra fino a formare una specie di pacchetto, tra le quali si interpongono dei fogli solitamente in cellulosa compatta, che hanno una porosità variabile. Una pompa spinge all’interno di questo pacchetto l’olio che si libera dalle impurezze solide o semisolide perché vengono trattenute dal cartone, che ha pori di dimensione più piccola delle stesse. E viene rimossa anche la residua fase acquosa grazie all’assorbimento del materiale cellulosico che è idrofilo.

Ovviamente la porosità – che si misura in micron – è scelta dall’utilizzatore, in base al livello più o meno spinto di filtrazione (e quindi di brillantezza) che vuole ottenere: più i pori sono grossi e più la filtrazione è blanda, ma veloce. I cartoni di filtraggio vanno sostituiti quando sono saturi: ci si accorge di ciò perché la pressione di iniezione dell’olio aumenta notevolmente a causa della occlusione dei pori che si riempiono delle impurità presenti nell’olio. La pressione – che può variare indicativamente da 1 a 4 atmosfere – dipende dalla grandezza della macchina e soprattutto dalla dimensione dei pori: più sono grandi e meno pressione serve.

Questo tipo di filtrazione avviene sostanzialmente in assenza di aria perché l’olio, riempiendo completamente tutti gli spazi della macchina, non consente alcun contatto con l’ambiente esterno. Esistono anche altri filtri tipi di filtri idonei come per esempio quelli a polvere, a gas inerte, a sacco, a moduli lenticolari: l’importante è filtrare e soprattutto evitare sistemi artigianali o anacronistici quali l’imbuto con il cotone dentro, utile unicamente per ossigenare.

La morchia, come riconoscerla

Tecnicamente la morchia viene definita come l’insieme delle sensazioni organolettiche che restituisce l’olio rimasto in contatto con fanghi di decantazione in serbatoi o vasche, che abbiano anch’essi subito processi di fermentazione anaerobica. La si riconosce abbastanza facilmente in quanto ha un odore di olive andate a male, fermentate, con sentori spesso a metà strada tra la salamoia e il formaggio. Per semplificare lo si può accostare all’odore del paté di olive industriale che si acquista a basso costo al supermercato.

Se volete fare una prova potete acquistare una confezione e lasciarla aperta per una decina di giorni vicino ai fornelli. Il risultato che otterrete se lo diluite in olio di oliva privo di difetti è molto simile alla morchia. Oppure potete cercare al supermercato una bottiglia di olio con il fondo (non è così difficile trovarla) il cui colore vira verso il marrone: quella è morchia originale (fate attenzione perché gli oli sullo scaffale di questo genere hanno spesso anche altri difetti).

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Tags: filtrazione, in evidenza, Marco Antonucci, morchia

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