di Stefano Caroli
Presidente Associazione Frantoiani di Puglia

Le aziende industriali che lavorano la sansa con solventi e processi termici per ottenere oli raffinati escono vincitrici. Le aziende agricole e i frantoi pugliesi, invece – quelli che non inquinano, che usano solo mezzi meccanici, che tutelano il paesaggio, le economie locali e la salute dei cittadini – sono i veri sconfitti.
Negli ultimi anni, proprio in Puglia, grazie alla legge regionale sull’Albo dei Mastri Oleari e alla collaborazione con l’Università di Bari, la cultura dell’olio è rinata: sono stati fatti grandi investimenti in ricerca, formazione e impianti tecnologicamente avanzati, capaci di produrre oli extravergini eccellenti e di gestire i sottoprodotti in modo circolare e sostenibile. Le aziende hanno creduto nel futuro quando nessuno ci credeva, costruendo modelli di economia circolare e riducendo gli sprechi in nome della qualità, della trasparenza e della salute. Oggi, questa sentenza rischia di spazzare via anni di progresso.
La sansa di oliva non è un alimento diretto. È un residuo della lavorazione dell’olio, a basso contenuto lipidico e potenzialmente ossidato, che può diventare “olio di sansa” solo attraverso processi chimici e termici complessi. Definirla “alimento” è una forzatura che finisce per avvantaggiare chi la trasforma con solventi, e penalizzare chi produce con metodi naturali. Se questa scelta porterà più olio di sansa raffinato sul mercato, allora assisteremo a una diluizione dell’offerta di qualità, un rischio di confusione per i consumatori e un abbassamento della qualità media degli oli in commercio.

Sottrarre la sansa ai frantoi locali significa anche interrompere un ciclo virtuoso di economia circolare, aumentare i trasporti e l’inquinamento, indebolire le economie territoriali.
Chi pagherà questo prezzo? I cittadini, che rischiano di perdere un modello produttivo pulito, trasparente e legato al territorio, in cambio di una filiera sempre più industriale e lontana.
E come se non bastasse, anche la comunicazione mediatica contribuisce alla confusione. Vedere pubblicata la foto di un frantoio dei tempi della pietra per rappresentare i produttori pugliesi è un’offesa a chi ogni giorno lavora con competenza, formazione e tecnologia avanzata. Quella immagine nega il progresso compiuto e rende i frantoiani interlocutori non credibili agli occhi dell’opinione pubblica. Noi, invece, siamo una filiera che innova, che studia, che collabora con le università, che rispetta il territorio e che protegge la salute dei cittadini. Siamo davvero certi che questa scelta sia giusta? O stiamo pagando – senza accorgercene – l’amaro prezzo dell’inconsapevolezza, sacrificando i custodi dell’olio extravergine, del paesaggio e della dieta mediterranea?



















