Riportiamo la lettera che ci ha inviato, dalla provincia di Ancona, Gianni Chiodi (nella foto) olivicoltore e frantoiano, assaggiatore ufficiale.
La campagna olearia 2022 sta ormai volgendo al termine. Le elevate temperature e la siccità registrate già dal periodo di fioritura non hanno reso certo facile la vita degli olivicoltori che, con caparbietà, passione e coraggio dedicano un intero anno alla cura dei propri oliveti per portare sulle tavole degli italiani prodotti sani, genuini e rispettosi del territorio. A causa delle elevate temperature dei mesi estivi, la raccolta è iniziata presto. Il mese di settembre è stato caratterizzato da frequenti ed abbondanti piogge che hanno chiaramente causato qualche problema e favorito l’attacco di mosca, ma la campagna olearia 2022 si è distinta per una buona quantità di olive ed una buona qualità degli oli.
Sinceramente – e parlo da olivicoltore e frantoiano-, sono sorpreso dagli allarmi lanciati da tecnici del settore che additano gli oli appena prodotti di scarsa qualità, con problemi di riscaldo e fieno-secco imputati all’attacco della mosca olearia. Come operatore del settore – terza generazione in famiglia che produce olio extravergine e assaggiatore ufficiale iscritto all’elenco nazionale – ritengo che gli oli appena prodotti siano buoni, con parametri chimici che rientrano ampiamente nei valori della categoria extravergine, e con buone caratteristiche sensoriali.
Certo, a causa anche dell’elevata piovosità di settembre, non tutti gli oli spiccano per notevoli sentori di amaro e piccante, ma credo sia d’obbligo fare una precisazione al riguardo. Chiaramente, se parliamo di oli destinati ad un concorso, risulta necessaria una particolare nitidezza delle caratteristiche sensoriali, con spiccate note di fruttato, amaro e piccante. Ma per quanto riguarda gli oli destinati al consumo quotidiano e alla nostra cucina, gli oli prodotti sono certamente extravergini buoni.
Dispiace che da parte di taluni, anche di chi è deputato a valorizzare il lavoro degli olivicoltori, non si sia compreso lo straordinario lavoro che essi hanno svolto, operando anche in piccoli appezzamenti, spesso impervi, con una situazione climatica tutt’altro che ideale, producendo un olio che ha tutte le caratteristiche per essere rigorosamente classificato extravergine.
Inoltre, trovo che vi sia una contraddizione tra il grande lavoro di valorizzazione e la tutela della biodiversità olivicola con il metodo di valutazione degli oli. In particolare, una varietà autoctona che presenta di per sé un basso contenuto di polifenoli, non raggiungerà mai spiccati sentori di amaro e piccante, ed il risultante olio, secondo i parametri adottati, non sarà degno di nota. La pericolosa conseguenza è che, nel prossimo futuro (troviamo riscontro già oggi), si andranno a piantumare solo varietà con un elevato contenuto di polifenoli, che di partenza sono avvantaggiate nella produzione di oli amari e piccanti, con la perdita di parte della nostra biodiversità. Senza contare che, per determinate pietanze dal gusto delicato, non sempre sono più indicati gli oli maggiormente amari e piccanti, poiché, come si dice spesso, ogni piatto vuole il suo olio.
Un’ultima annotazione riguardo ai cosiddetti “hobbisti”, considerati come produttori sprovveduti che non sono consci del proprio lavoro e non prestano cura ed attenzione nella gestione del proprio oliveto. Sappiamo bene che una buona fetta dell’olivicoltura italiana è proprio in mano a queste persone e che, in determinate zone, senza la provvidenziale presenza degli “hobbisti”, che danno maggior peso alla passione e al legame con il territorio rispetto agli obiettivi economici (che comunque devono essere positivi), una parte del patrimonio olivicolo italiano sarebbe caduta in abbandono, con conseguente degrado della cura del paesaggio rurale che tanto siamo impegnati a promuovere.
Non voglio essere polemico con alcuno, ma vedo che ad essere penalizzati sono sempre i piccoli produttori, che sono il cardine del nostro territorio, che portano sulle tavole degli italiani prodotti sani e genuini, che mantengono un presidio attivo nelle campagne, che continuano a far vivere le nostre tradizioni, le nostre usanze, la nostra memoria: anche loro sono la nostra storia.
Insomma, me dispiace vedere che mentre gli oli di noti marchi nazionali, provenienti però dall’estero, sono presenti sugli scaffali dei negozi a prezzi stracciati, insigniti della denominazione extravergine, gli oli dei nostri piccoli produttori, buoni, sani, genuini ed espressione del territorio, sono ingiustamente penalizzati.