“Il mio olio è il tipico della zona”. “Gli oli che costano poco non possono essere genuini”. “Costa caro, ma è assolutamente genuino e tipico”, “Poco olio ma genuino: lo diceva sempre mio nonno”…
Gli operatori del mercato a volte utilizzano termini il cui significato reale esprime un concetto opposto a quello che vogliono comunicare. Questo perché nell’uso quotidiano spesso si dimentica che le parole rappresentano o esprimono un’idea ma non la interpretano: definire un olio come “Genuino” può attirare il consumatore, ma ciò non comporta che sia migliore di altri, che offra caratteristiche superiori o uniche rispetto alla concorrenza.
Che cos’è la genuinità? Il vocabolario Treccani definisce l’aggettivo genuino come “Non alterato, non sofisticato, quindi vero, schietto, autentico, naturale”. Se eseguiamo una ricerca più mirata alle nostre necessità, scopriamo che Piero Bonato (CSQA, vedi: La Certificazione della Qualità, Situazione Normativa ed Esperienze), definisce la genuinità come “Il mantenimento delle proprietà fisiche, organolettiche e nutrizionali delle derrate”. Specifica inoltre che “Tutti gli operatori della catena alimentare, quale che sia il punto sul quale intervengono, devono preservare la genuinità degli alimenti e vigilare sulla sicurezza delle operazioni perché nell’universo biologico dell’industria agricola e alimentare le non conformità sono irreversibili e cumulative”.
Nella vita quotidiana solitamente la genuinità viene associata a prodotti che si ritengono sani, non sofisticati, non alterati, spesso naturali. Se analizziamo con attenzione queste parole notiamo l’assenza di riferimenti precisi: non sofisticato o sano sono concetti che, a seconda della loro applicazione, possono avere diversi significati e funzioni. Questa indeterminatezza lessicale induce frequentemente in errore sia i produttori (e cioè chi attribuisce la caratteristica al prodotto) che i consumatori, i quali identificano una proprietà che magari non è assolutamente propria di ciò che stanno acquistando.
In ambito oleario tutti gli extravergini dovrebbero essere genuini, essendo una mera spremuta meccanica del frutto fresco. La legge però consente l’utilizzo del talco in fase di gramolatura: in questo caso l’olio prodotto subisce un’alterazione durante la sua produzione attraverso la contaminazione con una sostanza estranea alla sua composizione naturale e non può essere definito genuino. E lo stesso principio vale per l’olio prodotto in atmosfera controllata (azoto o gas inerti).
Lo stesso ragionamento vale per un olio vergine di oliva: se prodotto unicamente con mezzi meccanici la presenza di lievi difetti chimici e/o organolettici formatisi in modo naturale (e cioè senza nessun processo di alterazione o sofisticazione) lo fanno rimanere commestibile e quindi sano, consentendoci di affermare che questo tipo di olio vergine di oliva è genuino.
E un olio Dop è un olio genuino? Stessa risposta: se prodotto con l’ausilio di elementi che ne alterano il processo produttivo non sarà possibile definirlo genuino.
Nella definizione e nell’utilizzo del concetto di genuinità è dunque importante prestare attenzione a tutti i processi produttivi, anche a quelli che possono sembrare irrilevanti o non significativi. Questo perché scrivere in etichetta “Genuino” comporta per l’imbottigliatore la dimostrazione che il prodotto lo è davvero, al fine di non confondere il consumatore e non utilizzare un’etichetta errata. Se non si può certificare con certezza la genuinità del proprio olio è bene non scriverlo in etichetta o nella documentazione pubblicitaria.
Affrontiamo ora la parola Tipico. Diversi cultori della materia, affermano che “Un prodotto si può considerare tipico quando in esso si realizza la concomitanza di alcuni fattori, che sono riconducibili alla loro memoria storica, alla localizzazione geografica delle aree di produzione, alla qualità della materia prima impiegata nella loro produzione, e alle relative tecniche di preparazione”.
Per proteggere la tipicità di alcuni prodotti alimentari l’Unione Europea ha varato precise normative. Se però diamo uno sguardo al mercato possiamo ragionevolmente affermare che “tipico” è associabile a “caratteristico”, nel senso che ci sono uno o più elementi distintivi che contraddistinguono univocamente un prodotto: nell’olio la caratteristica che appare dominante è la relazione tra ambiente e prodotto che può essere riferita all’origine geografica delle materie prime o alla collocazione del processo produttivo.
Anche nella definizione e nell’utilizzo del concetto di tipicità è dunque importante avere ben chiaro il messaggio che si vuole comunicare al fine di non confondere il consumatore e non utilizzare un’etichetta errata. Tenendo bene in considerazione le disposizioni di legge in materia di etichettatura, la scelta di comunicare la tipicità non garantisce al consumatore che il prodotto sia migliore di altri o che offra caratteristiche superiori. Garantisce soltanto la relazione tra ambiente e prodotto, tra ambiente e materie prime, tra ambiente e processo produttivo che, se da un lato è fondamentale per la salvaguardia della biodiversità, della valorizzazione del territorio e dei suoi prodotti, della remunerazione, della protezione dalle frodi, della possibilità di dare valore aggiunto vendendo con l’olio anche “il territorio”, dall’altro non può essere garanzia di eccellenza perché questo non è il suo scopo.