La maggior parte della frutta, quando viene spremuta o lavorata, è inizialmente sottoposta ad un processo di rimozione dei semi, del nocciolo e sovente anche della buccia. Faccio due esempi: per fare una spremuta di succo di prugne i frutti vanno denocciolati e sbucciati; per fare un succo di frutta di albicocche il seme va rimosso da ogni frutto. Le olive però sembrano fare eccezione.
Infatti se le impieghiamo per cucinare non le sbucciamo né le denoccioliamo, ma le usiamo così come sono nella loro interezza; se le mettiamo in salamoia o sotto sale o le passiamo a forno per farne un uso cosiddetto da olive da mensa non le sbucciamo e solitamente non ne rimuoviamo il nocciolo, se non in particolari casi.
Lo stesso vale per la produzione dell’olio: le olive non vengono sbucciate. Anzi: si fa di tutto per proteggere e non rovinare la buccia.
Dopo un primo interesse fin dall’epoca dei romani, si è cominciato a parlare di denocciolatura all’inizio del Novecento, perché è proprio in questi anni che l’olivicoltura inizia a valutare l’impiego di nuove tecniche per l’estrazione. E con la diffusione degli impianti a ciclo continuo e in particolare con l’adozione di decanter a tre fasi si è affrontato il problema della denocciolatura a livello industriale.
I motivi di tale interesse, possibile grazie alle nuove tecnologie, erano sostanzialmente due.
Il primo di ordine tecnico: tentare di aumentare la capacità di lavorazione degli impianti riducendo del 25/30% circa il peso della pasta di olive da portare in estrazione, essendo questa priva della parte solida centrale della drupa.
Il secondo: ottenere un prodotto costituito unicamente dall’olio presente nella polpa della drupa, evitando contaminazioni da parte dell’olio e degli enzimi naturalmente presenti nel nocciolo.
Anche se la tecnica era in continua evoluzione, i risultati non furono particolarmente positivi: le rese diminuivano anche del 2%; la capacità di estrazione diminuiva invece di aumentare in quanto la mancanza di nocciolino obbligava a una riduzione della portata di alimentazione del decanter dovuta ad una separazione più difficoltosa; i parametri della qualità merceologica non mutavano (e quindi non c’era la possibilità di recuperare olive che potevano dare un olio lampante o vergine) e non ultimo vi era un incremento dell’amaro e del piccante e cioè dei fenoli che arrivava anche al 10%, dovuta semplicemente ad una maggiore concentrazione delle sostanze fenoliche, la cui quantità totale non variava rispetto ad una lavorazione integrale, ma si trovava disciolta in una minor quantità di pasta.
Questi i motivi principali per i quali la snocciolatura non ha mai preso piede fino all’inizio del nuovo secolo, quando una maggiore attenzione dei consumatori agli aspetti organolettici e un nuovo approccio alla tecnica di lavorazione, che consente di rendere più equilibrati oli solitamente provenienti da monocultivar che diversamente sarebbero disarmonici, hanno dato un nuovo impulso a questa tecnica di lavorazione.
Come è fatto un denocciolatore moderno?
Esistono diverse macchine e relativi brevetti per togliere il nocciolo dalle olive: a mulino, a volume decrescente… Quello più utilizzato è costituito da una camera cilindrica, una sorta di tamburo allungato, la cui superficie curva è completamente forata, come una sorta di cestello della lavatrice. Al suo interno ruota una coclea a una velocità di circa 900 giri/minuto (dipende ovviamente da vari fattori: tipo e grandezza della macchina, materiale processato…), le cui spire hanno solitamente la parte periferica ricoperta di materiale plastico / gommoso. Le olive sono spinte in avanti e contro le pareti del cilindro dalla coclea e dalla forza centrifuga. Man mano che avanzano vengono sminuzzate dagli spigoli vivi dei fori, che ovviamente hanno dimensioni inferiori rispetto al nocciolo: i pezzettini di polpa che si formano passano attraverso i fori e vengono raccolti nella parte bassa della macchina.
Diciamo che il denocciolatore può essere considerato una sorta di frangitore che invece di spaccare l’intera drupa la “grattugia” facendola strisciare sulle pareti. A seconda del tipo di lavorazione la polpa può subire un ulteriore passaggio nel frangitore o andare immediatamente in gramola: in questo secondo caso il decanter deve essere opportunamente predisposto.
Al termine del processo i noccioli sono praticamente senza polpa e vengono espulsi dalla parte opposta rispetto all’ingresso del frutto fresco e solitamente vengono utilizzati – una volta asciutti – come combustibile.
Anche se i moderni denocciolatori mostrano il difetto di una resa in olio più bassa dei processi tradizionali, che possiamo quantificare in 1,5/2 kg di olio per 100 kg di olive rispetto alla lavorazione integrale, diversi studi contemporanei hanno dimostrano che si possono ottenere oli con caratteristiche superiori rispetto a quelli ottenuti con il metodo tradizionale.
Con la denocciolatura in generale c’è una maggiore quantità di metaboliti C6 e cioè di composti volatili positivi. Fermo restando che le caratteristiche organolettiche di un olio dipendono dalla cultivar, in generale si è riscontrato l’incremento del metabolita trans-2-esenale, responsabile del fruttato, in particolare delle note verdi di erba e di mandorla.
Inoltre il nocciolo contiene in alta concentrazione l’enzima perossidasi (POD) che contribuisce in maniera determinante all’ ossidazione dei composti fenolici quando entra in contatto con l’aria (soprattutto in fase di gramolatura) e contiene in misura minima l’enzima polifenolossidasi (PPO) – presente anche nella polpa – che provoca anch’esso ossidazione, soprattutto in fase di frangitura per questioni legate alle temperature di lavorazione. Non va dimenticato che questi enzimi contenuti nel nocciolo sono molto più attivi (fino a 50 volte) rispetto a quelli presenti nella polpa dell’oliva.
Nel complesso si può quindi affermare che a parità di olive gli oli ottenuti con il processo di denocciolatura hanno un fruttato più verde e intenso, maggiore amarezza e piccantezza, minore ossidazione, più stabilità nel tempo, un nocciolo che può essere riutilizzato come combustibile, scontando di contro una minore resa di estrazione, che però può essere facilmente compensata in fase di vendita: questa tipologia di prodotto porta un incremento di prezzo anche del 20%.